In una lettera indirizzata il 13 gennaio 1997 agli assessori alla cultura della Provincia di Pistoia e del Comune di Pistoia scrivevamo: «Assessore, facendo seguito a numerosi incontri già intervenuti nei mesi scorsi in ordine alla valorizzazione culturale della figura di Remo Cerini, desidero informarLa che questa Casa Editrice CRT, unitamente al G. S. Avanguardia del Circolo Garibaldi e al Gruppo Teatro Ragazzi di Pistoia, ha formulato un progetto editoriale per la stampa del volume Remo Cerini, Ben io ben dritto vo’ per la mia via ..., progetto che portiamo alla Sua considerazione, chiedendo, oltre al patrocinio, il sostegno e il contributo dell’Amministrazione per la realizzazione dell’opera». Seguiva nel dettaglio l’articolazione del progetto. La Provincia di Pistoia ci scriveva, prenotando un certo numero di copie. Dal Comune di Pistoia non è mai giunta alcuna risposta, neppure di cortesia, a quella nostra comunicazione certamente non dispersa dall’Ufficio protocollo di Palazzo di Giano. Non è nostro costume elemosinare attenzioni né prebende (ancorché “laiche”), soprattutto nel caso di specie. Così come con il libro su N. Puccini, abbiamo dunque portato avanti il progetto con le poche forze di cui disponiamo e in collaborazione “autentica” con chi spontaneamente ha aderito all’iniziativa ritenendola prima di tutto un “servizio” reso alla memoria di Remo, un “servizio” reso alla comunità cittadina, e non questione privatistica.
È una edizione “povera” (nello spirito di Remo), ma arricchita da una molteplicità di presenze umane che attraversano le pagine a lui dedicate. È un buon risultato che Remo ci abbia fatto incontrare. Volevamo un’edizione “condivisa”, “viva”, “libera” dagli orpelli tipici di quella “cultura” museale che sembra invece ormai aver irretito anche quei giovani “intellettuali” di belle speranze “istituzionali” che sanno ardere soltanto del “profano” fuoco della catalogazione, senza impegno di verità, riducendo l’immagine anche del Cerini ove se ne volesse scrivere senza “anima” ad una statua di cera.
Certamente Remo Cerini non era un ipocrita, perché non simulava buone qualità, doti o virtù che sapeva di non possedere. Non fingeva buoni sentimenti o benevole disposizioni d’animo al fine di ottenere qualcosa. Si disponeva ad atti, contegni, discorsi che rispecchiavano la sua ironica autenticità. Chi vuol ricordarlo ed onorarlo, e scriverne con rispetto, potrà e dovrà ascoltare una sua importante lezione: il rifiuto dell’ipocrisia.
Frugando nelle mie memorie, interrogando vecchi amici che lo hanno conosciuto da vicino, ed attraverso ricerche, ho potuto rimettere insieme, almeno spero, parte della sua storia di uomo, per far conoscere le sue poesie che sono veramente belle; ma soprattutto con la speranza di far ricredere tutti coloro che ingiustamente lo hanno deriso, anziché ammirarlo per i suoi meriti di poeta.
Taluni hanno visto in lui, specie nella sua tarda età, soltanto un uomo dedito al vino, un ubriaco che recitava poesie trovate chissà dove, ed imparate chissà come, per raggranellare qualche spicciolo necessario per il suo quartino di vino. Altri, forse per gli stessi motivi, lo hanno giudicato soltanto un buffone capace unicamente di far ridere la gente con le sue stranezze; e non sono mancati neppure quelli che lo hanno deriso.
Questi giudizi, evidentemente, erano frutto della mancata conoscenza di chi veramente era Remo Cerini.
Apparteneva ad una famiglia che, seppure non proprio agiata, era però di economia abbastanza solida per quei tempi; suo padre, da informazioni avute dai vicini di casa di allora, era proprietario di alcuni appartamenti. Nell’anno 1922 la Tipografia Grazzini di Pistoia pubblicò il libro delle sue poesie Verso la modernità al prezzo di Lit. 4,00 a copia, una cifra che oggi fa ridere, ma che in quei lontani giorni rappresentava circa mezza giornata di lavoro.
In seguito scrisse diverse altre poesie senza però curarsi della loro pubblicazione, come mai pensò di trarne profitto per procurarsi i mezzi necessari per condurre una vita migliore e priva di stenti.
Remo Cerini nacque a Pistoia il 28 luglio 1889 alle ore 10,00 antimeridiane nella casa posta in Piazza San Lorenzo, da Cerini Pietro, fornaio, e da Susini Apollonia, donna da casa. Trascorse la sua infanzia nella casa situata nella strada che adesso è denominata Vicolo dei Chiappettini (angolo di piazza San Lorenzo e Via Buonfanti). La casa era di proprietà paterna. In giovane età fu assunto dalle Officine San Giorgio, dove ben presto si dimostrò un bravo operaio. Poi, col tempo, si abbandonò al vino, e quando i fumi dell’alcool cominciarono a fare i loro effetti, decise di lasciare il lavoro. Si presentò al direttore dello stabilimento per reclamare le sue spettanze, e così lo apostrofò: “O Rapallo dal lungo collo, non sono un’aquila, ma nemmeno un pollo. Io mi chiamo Remo Cerini, perciò ti dico: fuori i quattrini!”
Emigrò a Milano con la speranza di migliorare il suo precario tenore di vita, ma evidentemente non ci riuscì, perché dopo un breve periodo di lontananza, fece ritorno a Pistoia.
Ebbe continui litigi col padre, ed a causa di questi, non ci è dato di sapere se fu cacciato dalla casa paterna, oppure fu lui ad abbandonarla. È risaputo però, che in seguito fu, come in quei tempi usava dirsi, diseredato.
Trovatosi così senza casa, senza proficuo lavoro, senza alcun mezzo di sostentamento, provò più volte ad andare sotto le finestre del padre a fargli la serenata per ottenere da lui qualche soldo, ma il genitore invece, gli gettava addosso l’acqua con la catinella.
Fu così, che dopo tanti inutili tentativi di ottenere un qualche aiuto economico, un giorno combinò al padre uno scherzo “gobbo”. Infatti, gli inviò a casa una bara, ed una piccola corona di fiori; poi, per farlo credere morto, tagliò una cipolla, se la strofinò sugli occhi per provocare le lacrime, ed a chi gli chiedeva: “Remo, perché piangi?” Lui rispondeva: “È morto ‘l mi babbo!”
Durante la buona stagione dormiva di prevalenza sull’erba di quella che oggi è piazza della Resistenza, oppure su altri prati adiacenti al torrente Brana; e durante la stagione avversa dormiva invece sotto il loggiato del Duomo, o sotto quello della Biblioteca Forteguerriana, avendo per materasso dei cartoni e per coprirsi una misera coperta.
Ricordo che verso la mezzanotte di una bella notte del mese di luglio dell’anno 1936, davanti al bar di Pasquino, in Via Filippo Pacini, Remo si divertiva a tirare calci ad un bussolotto di latta. Eravamo diverse persone ad osservarlo, e lui, vistici in tanti, si fermò e ci recitò quella che a parer suo, era la morale della sua vecchia poesia “Io son quel misero?” e così si espresse: “Il misero, sarà sempre un misero. Ma, se aiutate il misero, vedrete che il misero, non sarà più misero”.
Quando, per il timore che i bombardamenti aerei potessero danneggiare le opere in terracotta della facciata dell’ospedale del Ceppo, le competenti autorità di allora decisero di fare erigere, a ridosso di queste, un muro di protezione il giorno che ultimarono i lavori, Remo si trovò a passare di lì, e non vedendo più le famose statuine, profetizzò esclamando: “Statuine, statuine, quando rivedrete la luce, non ci sarà più né re, e né duce!”
E quando la sorte della guerra riservò inevitabilmente all’Italia l’inizio della fine, con la perdita dell’impero, Remo commentò l’avvenimento con altra profezia, anche questa avveratasi: “Vestiti di rayon, calzati di legno, s’è perso l’impero, si perde anche il regno!” Il giorno che i tedeschi invasero Pistoia, Remo si recò in piazza Garibaldi, si pose di fronte al monumento dell’Eroe, ed implorò: “Scendi Peppino, ci rienno!”
Le profezie e le sue frasi non furono mai di gradimento ai gerarchi locali in camicia nera, che gli fecero passare ogni volta dei giorni in guardina. Perciò, come giustamente ha anche scritto Sergio Landini, Remo fu più volte arrestato col falso movente di ubriachezza molesta, mentre il vero motivo era quello di manifesta avversità al regime fascista.
Remo era un uomo che, seppure giornalmente alticcio, non si è mai abbandonato a molestie di nessun genere. Al contrario, è sempre stato uno che ha saputo mantenere limpida la sua spiccata educazione, comportandosi sempre con riverente rispetto e cortesia verso il suo prossimo. Evidentemente madre natura lo aveva dotato anche di questa virtù, oltre quella dell’innato estro poetico. Ogni qualvolta gli veniva chiesto chi a suo parere è un vero signore, lui rispondeva sempre con la stessa frase: “Il vero signore non è chi ha tanti soldi, ma chi ha educazione e rispetto per il prossimo”. Remo di fatto, era un nume custode della sua povertà; e la interpretava con signorilità, con aspetto fiero ed aristocratico, anche col suo incedere elegante.
Enrico Bruni, pittore, disegnatore degli stemmi delle casate pistoiesi, e poeta, nato a Pistoia in Via Laudesi il 3 gennaio 1909, così si espresse nella poesia Sant’Atto e ‘l Cerini, nella sua raccolta Pistoia di ‘uè tempi, sonetti in vernacolo Pistoiese, 1920-1936:
Se la ‘ampagna brucia al solleone,
Sant’Atto ‘uel gran santo tutto nostro,
addalli la salacch’ el campanone,
anche ‘n senza ‘antalli ‘l Paternostro,
fa piove’ essalva tutto da’ alori!
Ma lo dicea ier’ acculizione
il caffeante del caffè del Bori...
eppo’ mi disse ‘uasi ‘n confessione:
Ma ci sarebbe Remo del Cerini;
bravo poeta, sempre n’daffarato,
affassi fà l’offerte di ‘uartini:
Quello sarebb’un Sant’assà piuffino,
chessé aesse la salacc’ambocca,
farebbe di siuro piove’vvino!
Di figure popolari Pistoia ne ha avute diverse, e tra queste: Moto Perpetuo, Cesarone, con le sue medaglie appuntate anche sui pantaloni, Rigoletto, che faceva toccare la sua gobba per un diecione (dieci centesimi) per avere la fortuna di vedere realizzato un desiderio richiestogli, l’Emmona, sulla quale correva il detto che le occorrevano ben quattordici metri di tessuto per un tailleur ed altre ancora.
Però questi personaggi hanno lasciato di loro soltanto una tenue traccia che ormai si è spenta, mentre, Remo Cerini, è stato, e rimarrà per Pistoia un grande simbolo che resisterà nel tempo.
Dopo tante sofferenze sopportate con serena rassegnazione, ormai vecchio e stanco, ci ha lasciati il 18 settembre 1980. Sarà di sicuro ricordato perennemente per i suoi gesti, e le sue parole, ma soprattutto per le sue poesie. I pistoiesi non potranno dimenticare quella simpatica figura di piccolo, ma grande uomo.
Una “Casa del Popolo” ha molti obiettivi cui tendere: essere punto d’incontro, di conoscenza, di amicizia, di ricreazione, di cultura. Sì, certo, anche di cultura. Una cultura che scaturisca dal popolo, dalle sue quotidiane sofferenze, dalla sua concreta saggezza, dalla sua arguzia che le asperità della vita stimolano, esaltano, arricchiscono.
E le “voci libere”, quelle fuori dal coro della cultura “ufficiale”, sono le voci che una “Casa del Popolo”, talvolta, sa esprimere, che sempre sa ascoltare. Voci libere perché di uomini liberi per le scelte di vita, liberi per le idee di cui spesso sono, più o meno consapevolmente, portatori.
Ecco allora PRIMO BEGLIOMINI, il poeta-carbonaio delle Piastre; SEBASTIANO “FRISINO” FROSINI, il cantore della Pistoia dei vicoli, della “Sala”, delle piazzette lastricate; ENRICO BRUNI, il “vernacolare” poeta satirico della Pistoia del “ventennio” dittatoriale; DON SIRO BUTELLI, il prete-poeta amico degli umili, degli “ultimi”; DAMASCO CAPECCHI, bonellino, anarcoide, fiero della sua schietta poesia popolana; ALICE STURIALE, la bambina fiorentina ma con radici pistoiesi, dolcezza e grinta fatta poesia nonostante l’handicap ...
E Remo, REMO CERINI, poeta, uomo, espressione di libertà vissuta, affermata, amata sopra ogni altra cosa. E innamorato come pochi della sua Città. Una Città-casa-famiglia cui si sente legato come a una parte di sé, come alla sua Rita; con le sue strade, le sue piazze, i suoi porticati, la sua gente.
A questi poeti, a queste voci della Città, a questa cultura tanto schietta quanto profonda, il Circolo Garibaldi, con il suo Gruppo Teatro Ragazzi, ha dedicato recitals, ricerche, mostre, pubblicazioni.
Un ultimo inesplorato versante sarà, nell’immediato futuro, la ricerca delle radici favolistiche dell’antica Pistoia contadina e montanara, narrata con quel “vernacolo” in via di progressivo esaurimento, che era, ed è ancora, ma forse per poco, il “colore” più vivo del “parlar toscano” che in molti ci invidiano.
Per questo abbiamo, nel 1996, dedicato a REMO CERINI un recital, una mostra, una ricerca di documenti e testimonianze di artisti e scrittori cittadini, su questa splendida figura di pistoiese a tutto tondo.
Da questo sforzo è nato questo libro.
Siamo grati a chi lo ha realizzato, e lieti di aver potuto contribuire alla sua realizzazione mettendo a disposizione dell’editore il frutto delle nostre ricerche e tutti gli apporti che sono arrivati da tanti pistoiesi, come noi ammiratori, estimatori, innamorati della figura di REMO CERINI, poeta del popolo in Pistoia.