«L’alienazione umana, come si intende in questa sede, non è certo un parto letterario di filosofi, pensatori e intellettuali in cerca di affermazione personale e di lustro, ma rappresenta un male profondo, frutto di violenza, che nasce dall’ineguaglianza reale e dalla natura dei rapporti sociali e di produzione che tale ineguaglianza fra gli uomini riflette, segnando la vita umana attraverso i secoli».
Così recita un passaggio importante di questo libro, che è dedicato alle nuove forme di alienazione dell’uomo indotte dal capitalismo contemporaneo.
La premessa è che stiamo vivendo un passaggio storico importante, un vero e proprio “cambio di Evo” rispetto al secolo precedente.
Lo stesso autore, che sostiene questa impegnativa tesi di fondo, mostra di esserne ben consapevole, al punto che si spinge ad ipotizzare quanto segue: la trasformazione in atto non è riconducibile ad un mero cambiamento di fase capitalistica, pur importante e doloroso sul piano sociale, ma rappresenta un «periodo storico di graduale, ancorché rapido, passaggio dal vecchio modo di produzione ad un nuovo modo di produzione sociale, caratterizzato da un cambiamento culturale epocale, da un cambiamento antropologico ugualmente rilevante, e da nuovi paradigmi in via di affermazione».
In tale contesto di cambiamenti, che non riguardano soltanto le condizioni del lavoro capitalistico nello spazio globale, si inserisce il discorso su un tema delicato e controverso come quello dell’alienazione.
Lasciamo un’ultima volta la parola all’autore, certi di rendere il senso della ricerca che sta alla base della presente opera, tutta tesa a stabilire un preciso nesso fra l’alienazione umana e la costruzione sociale dell’uomo precario:
«Un vero e proprio “esperimento” di ingegneria sociale è in atto ed avrà come esito la completa precarizzazione/ flessibilizzazione delle masse, espropriandole di ogni sapere, dei diritti residui e della possibilità effettiva di partecipare alla decisione politico-strategica.
In tale contesto, l’alienazione assume nuove forme che convivono con quelle del passato, mai estinte, e lo sfruttamento non dovrebbe esser visto soltanto nella dimensione economica come fecero molti marxisti in relazione all’estrazione del plusvalore ma in ogni aspetto della vita sociale e di relazione, riguardando la persona nella sua totalità».
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