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La scuola di Louis Althusser ha avuto grandi meriti storici, in particolare nel periodo della “finestra politica” che si è aperta in Europa nella seconda metà degli anni Sessanta e nella prima metà degli anni Settanta del Novecento.
Essa ha “incontrato” il desiderio di una nuova generazione di giovani interessati alla dimensione teorico-politica del marxismo di poter fondare razionalmente un superamento di forme di marxismo ritenute ormai obsolete, inadeguate e fuorvianti (materialismo dialettico sovietico, storicismo opportunistico italiano, umanesimo esistenzialistico generico francese, ecc.). Fallito il suo scopo principale, la riforma del senso comune di massa del movimento operaio e comunista, è ripiegata in una piccola corrente universitaria autoreferenziale, del tutto staccata da ogni espressività politica. È necessario avere nei confronti della scuola di Althusser due atteggiamenti non contraddittori, una grande generosità storiografica ed una decisa radicalità critica. È possibile coltivare una grande generosità storiografica se la si colloca all’interno dell’ultima fase della storia del marxismo come concezione del mondo dotata di giganteschi effetti politici (1956-1991), prima della dissoluzione del fenomeno del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). È necessario invece esprimere una radicalità critica inesorabile nei confronti di posizioni oggi a mio avviso francamente intollerabili (disprezzo verso la filosofia, ridotta a sterile epistemologia o a settaria ideologia, inutile critica dell’umanesimo filosofico, riduzione del materialismo ad apologia del contingente aleatorio, ecc.).
Da questa critica risulta, in positivo, una rivalutazione esplicita del ruolo veritativo dell’attività filosofica ed una riabilitazione argomentata dell’Umanesimo in tutte le sue dimensioni.
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