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È vero quello che afferma José Ortega y Gasset: che leggere un libro è, come tutte le altre occupazioni propriamente umane, un compito utopico. Tuttavia, l’uomo è impastato con farina di utopia e la lettura rimane un’attività necessaria alla costruzione della personalità e all’innesco dei processi più intimi dell’individuazione.
Se è vero che con il termine Marginalia s’intendono le annotazioni, gli scritti e i commenti fatti da un lettore a margine di un libro, questa raccolta non poteva trovare nessun altro titolo che la definisse in maniera più rappresentativa. La lettura di un libro, quando si tratta di un opera degna di questo nome (e non di quelle operazioni di mercato studiate a tavolino per riempire i carrelli di annoiati consumatori), non può che essere fonte di riflessioni, considerazioni, rimandi, rinvii.
Il testo diventa allora una zattera per poter attraversare il fiume del tempo, un tronco al quale aggrapparsi nelle ripide del divenire. Ma il testo che per sua natura altro non è che un condensato di esperienze e riflessioni vive, la cui naturalità si spegne nella struttura rigida del foglio , deve essere abbandonato quando si giunge ad una sua visione più complessa, e ad una comprensione più profonda di se stessi e della natura medesima dell’attraversata.
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