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«[...] quello che fin dall’inizio distingue
il peggiore architetto
dalla migliore delle api,
è il fatto che egli ha costruito la celletta
nella sua testa
prima
di averla costruita nella cera.
[...].
Egli non opera soltanto
un mutamento di forma
dell’elemento naturale;
egli contemporaneamente
realizza
in questo
il proprio fine,
di cui ha coscienza».
K. Marx
Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere.
Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.
Occorre poi uno stimolo, un impulso capace di attivare sensibilità intellettuali, offrendo prospettive culturali capaci di intercettare le autentiche domande di senso e di tentare risposte originali e pertinenti.
Per cercare di costruire nuovi orizzonti di senso occorre in primo luogo non accettare quanto sostengono i profeti dell’avvento di un mondo senza Spirito, un mondo cioè di individui non più formati dalla memoria di tradizioni e culture anteriori, e perciò in totale balìa dell’immediatezza degli eventi, senza un’identità etica e sociale ed una struttura morale a cui riferirli. Occorre valorizzare e sviluppare al massimo una cultura umanistica progettualmente tesa verso la “buona utopia“.
La cultura umanistica è progettuale in quanto invita ad una pedagogia narrativa, favorendo la paziente ricostruzione dei processi storici delle soggettività e la reale comunicazione di esperienze significative; lo è perché invita alla ricerca continua di nuovi orizzonti, indicando una strada per liberarci dalla “gabbia d’acciaio” del “puro presente” e per combattere il nichilismo moderno che ci avvolge da ogni lato cercando di convincerci che sia possibile vivere solo “al presente”, senza bisogno di storia, senza bisogno di passato, senza bisogno di futuro.
La cultura umanistica motiva alla promozione di valori quali la partecipazione reale e non formale dei cittadini, la solidarietà per una nuova cittadinanza, in una comunità che voglia e sappia davvero educare superando l’alienazione desertificante cui costringe il mondo delle merci. Una cultura capace di rafforzare nei giovani la memoria storica come fondamentale risorsa per la costruzione della propria identità, facendo proprio il pensiero genealogico, per educare ed educarsi all’ascolto delle “altre memorie”, per sperimentare la produzione di materiali narrativi “altri”, sia in forma individuale, sia in forma collettiva, con gesti, comportamenti, azioni simboliche, esercizi di cittadinanza attiva, mettendo in opera prove di concreta e “buona utopia“ nel vissuto di una quotidianità condivisa.
È un invito a vivere e a confrontarsi in conformità a buoni progetti, razionali e morali, e di ampio respiro.
Anche solo progettandolo, possiamo offrire ai nostri figli e agli uomini che verranno, un mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Pur se non riusciremo a veder compiutamente realizzato ciò che abbiamo progettato e tentato di realizzare ne avremo comunque vissuto e respirato l’essenza.
È proprio questo respiro, questo πνεύμα, il lascito più importante, spirito comune a tutti gli uomini, che può trasmettersi inciso nel più imperituro dei materiali scrittorî, come insostituibile viatico sia per chi ha concluso il proprio viaggio sia per chi è e sarà ancora per la via.
In ogni libro, in ogni sua pagina, è racchiusa una scommessa contro l’oblio, una sfida contro il silenzio: sono lo scrigno dove vivono le nostre tracce di significato, ponti che uniscono “quel che è stato” a “quel che sarà”. Perché i ponti, ancor prima di essere strutture materiali, sono strutture di pensiero che pongono in comunicazione, descrivendo la parabola efficace di uno stato relazionale. Attraverso questi ponti eidetici noi consentiamo, e ci consentiamo, un passaggio, un attraversamento, non solo da un luogo ad un altro, ma soprattutto dal passato al presente, dall’oggi al futuro, dalla vita alla vita.
Impariamo dunque che il senso profondo della cultura umanistica lo dobbiamo ritrovare progettando quei ponti su cui si sedimentano tracce di significato di spiriti liberi.
Mentre lavoriamo intorno alla definizione di ogni numero di Koinè, impariamo abbastanza da trovarla insufficiente.
L’Associazione Petite Plaisance e Koinè auspicano la più ampia interlocuzione sui temi proposti alla considerazione critica.
F. C.
Carmine Fiorillo Luca Grecchi
Nota introduttiva
Questo numero di Koinè ritorna, dopo molti anni, su un tema assai frequentato dalla rivista e dalla casa editrice, ovvero quello della scuola. All’alba delle riforme Berlinguer e Moratti, uscirono infatti un importante numero monografico della rivista, Metamorfosi della scuola (2000), nonché due libri piccoli ma importanti di Massimo Bontempelli (L’agonia della scuola italiana; Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, 2001), ed un ulteriore numero di Koinè, Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri (2004).
Constatavamo in questi giorni con Lucio Russo, presente in quel numero del 2000 così come in questo, che nonostante qualche ulteriore peggioramento avutosi nel tempo (riforma Gelmini, altre piccole modifiche ed in ultimo la legge 107), la sostanza del discorso fatto allora rimane purtroppo tuttora valida, per cui le critiche rivolte all’apparato scolastico disegnato dalla riforma Berlinguer i successivi interventi sono andati nella medesima direzione , risultano ancora attuali. Naturalmente, si tratta di uno dei pochi casi in cui si sarebbe preferita smarrire la attualità delle riflessioni fatte.
Le cose non sono cambiate in quanto, nella sostanza, non è mutato il modo di produzione sociale sottostante, senza la cui analisi non si può ben comprendere il senso, appunto, delle riforme della scuola, così come di quelle del mercato del lavoro, della giustizia, della sanità, ecc. Non si può infatti pensare la scuola separatamente dalla totalità che la pone in essere, ossia dalle strutture complessive della produzione e riproduzione sociale. Senza questa ottica che deve essere, al contempo, critica e progettuale, si potranno nel tempo solo produrre manifesti di denuncia i quali, per quanto utili a riordinare le idee ed a marcare una coesione nel corpo docente, rischiano di avere poco più che una funzione testimoniale.
Il fine con cui era stato pensato anche questo numero di Koinè era in effetti quello progettuale, ossia il non limitarsi alla critica della scuola per come essa è (sebbene vi sia critica e critica: una critica consapevole della totalità sociale in cui si vive, è molto differente da una critica inconsapevole della vera sostanza della medesima), ma il cercare di pensare la scuola per come dovrebbe essere. Si tratta del resto di un tema, quello della progettualità sociale, molto caro a questa rivista, dato che ad esso è stato dedicato l’ultimo numero della medesima, nel 2017 (Quale progettualità?), e dato che lo stesso occupa da molto tempo i pensieri dei due direttori.1
L’idea di fondo, che deriva direttamente dal pensiero platonico, è infatti che solo riuscendo a comprendere l’uomo per come è, ossia a nostro platonico ed aristotelico avviso2 per come dovrebbe essere nella compiutezza della sua natura razionale e morale, si può pensare un modo di produzione sociale ideale, per come appunto dovrebbe essere in tutte le sue parti, compreso il processo educativo. Naturalmente, vi è tutta la tematica imprescindibile della realizza-bilità di un simile progetto, che del resto anche Platone aveva ben presente. Ciò nonostante, senza prima lo sforzo teoretico di pensare l’uomo per come è, al di là delle incrostazioni che le attuali modalità sociali gli hanno appiccicato addosso, ben difficilmente si potrà pensare la totalità sociale (dunque anche la scuola) per come deve essere. Il rischio è, altrimenti, quello di sapersi limitare solo alla critica. Una critica tuttavia, senza fondamento umanistico, ossia senza una sottostante idea di uomo su cui regolarsi, rimane fine a sé stessa, perché non produce quello stabile terreno su cui soltanto è possibile progettare, ossia appunto costruire.
Si tratta, come evidente, non di uno dei problemi filosofico-politici fra i tanti, ma “del” problema, specialmente all’interno di un quadro di modalità sociali privatistiche e mercificate sempre più distruttive della natura e della vita, che ogni giorno osserviamo brutalmente all’opera, e che pongono a rischio la stessa sopravvivenza dell’uomo. Chi si occupa di scuola senza vedere questo non comprende l’essenziale, e dunque, come chi non comprende l’essenziale di un problema, non ne comprende la parte principale, per quanto competente e specialistica possa essere poi la sua analisi.
Nonostante la gravità del problema, come abbiamo del resto constatato nel numero dello scorso anno sulla progettualità, esso trova forti resistenze teoretiche ad essere affrontato, proprio in quanto né la scuola, né l’università, né la cultura in genere forniscono oggi gli strumenti necessari per affrontarlo. Gli stessi studi classici, che pure talvolta emergono in primo piano anche sui quotidiani nazionali, vengono in effetti al più approcciati in maniera erudita e “decaffeinata”, dunque innocua sul piano filosofico-politico, in maniera tuttavia difforme da quello che fu lo spirito originario fin del primo pensiero greco.3 Per questo ed altri motivi ci vuole comunque coraggio ad entrare nella “terra dei leoni” della progettualità, ossia nell’indicare una idea di uomo e di totalità sociale per come dovrebbero essere: piovono infatti critiche da tutte le parti in questi casi, ed in termini accademici si spendono energie a rendimento non zero, ma negativo il problema viene costantemente rimosso, come se il suo carico onto-assiologico fosse troppo pesante da sopportare anche per gli studiosi più dotati. Tuttavia, come detto, il compito della critica, e soprattutto della critica parziale (ad una parte soltanto della totalità sociale, ad esempio alla scuola), per quanto necessario, rischia purtroppo oggi di non essere minimamente sufficiente a produrre anche solo piccoli cambiamenti di sostanza, se non inserito in un quadro di fondata riflessione progettuale sull’intero.
Detto questo, come nel precedente numero sulla progettualità, si è cercato di fare qui il meglio che si poteva per percorrere almeno alcuni passi in questa direzione. Ringraziamo tutti gli studiosi che a questo numero hanno partecipato, apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema, quello educativo, sempre centrale e che, anche quando non esplicitamente affrontato, rimane sempre l‘implicito riferimento di tutte le pubblicazioni soprattutto di quelle recenti sulla filosofia antica di Petite Plaisance.
1 C. Fiorillo - L. Grecchi, Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”, Petite Plaisance, Pistoia, 2013. Le prime riflessioni comuni su questo tema risalgono tuttavia al primo nostro incontro, nel gennaio 2002.
2 L. Grecchi, L’umanesimo di Platone, Petite Plaisance, Pistoia, 2008; L’umanesimo di Aristotele, Petite Plaisance, Pistoia, 2008.
3 L. Grecchi, L’umanesimo di Omero, Petite Plaisance, Pistoia, 2011.
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