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Filosofo della nonviolenza, teorico (con Guido Calogero) del liberalsocialismo prima e del potere di tutti poi, oppositore del fascismo ma anche critico delle insufficienze della democrazia rappresentativa, Aldo Capitini (1898-1968) ha tracciato per un trentennio un percorso filosofico, etico, politico, religioso e pedagogico tra i più radicali del Novecento Italiano. Ma è stato anche il filosofo che con maggiore forza ha affermato la necessità del dialogo a livello interpersonale, comunitario, internazionale e interculturale, negli anni del conflitto ideologico e della Guerra Fredda. Interpretando questo aspetto centrale del suo impegno intellettuale e politico, Antonio Vigilante fa dialogare il pensiero capitiniano con quello di tre autori provenienti da mondi culturali diversi tra loro e dal contesto italiano: Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin. Il confronto con Nishitani, tra i più importanti filosofi giapponesi contemporanei, porta in primo piano le tematiche religiose e la metafisica pratica della compresenza, il più alto esito della filosofia capitiniana, interpretata alla luce della vacuità buddhista, mentre il dialogo con Dussel e Bookchin permette di definire la particolarità della rivoluzione nonviolenta di Capitini, che ha significativi punti di contatto sia con la filosofia della liberazione del primo che con il municipalismo libertario del secondo. Se ne distingue per una persuasione religiosa che lo porta a spingere la prassi etica e politica contro i limiti stessi del reale, come protesta metafisica e invocazione di una possibilità pura. La relazione tra l’io e il tu, liberata dalla logica della potenza, diventa la chiave per interpretare in modo nuovo, aperto l’essere, e per ripensare l’agire politico alla luce di questa apertura pratico-metafisica.
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