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Introduzione
Questo è un libro su Parmenide e Zenone, ‘sapienti ad Elea’, come segnala il titolo. Questa caratterizzazione breve e apparentemente banale rivela, nondimeno, la profonda originalità dello studio che ci offre Livio Rossetti.
Soffermiamoci, per cominciare, sulla città alla quale è riservato il primo capitolo, Elea. Perché cominciare da lì? Molte volte la storia della filosofia ci si presenta come rassegna di idee astratte, senza corpo. Certo, le idee non si dovrebbero dissociare né dal tempo né dallo spazio in cui furono pensate, perché la cronologia e la geografia sono variabili che le attraversano e modulano in modo inesorabile. Per questa ragione, la narrazione riservata alla fondazione di Elea da parte dei focei e la descrizione del sito archeologico di Elea-Velia che questo volumetto ci offre costituiscono una sorta di flashback che aiuterà a collocare le idee di Parmenide e Zenone in un nuovo orizzonte di senso.
Quantunque parte della ricerca condotta da Livio si appoggia a delle evidenze archeologiche, la sua investigazione non somiglia a quella dell’archeologo che dissotterra pezzi di qualcosa e si adopera per preservarli gelosamente così come furono trovati, ma piuttosto all’opera dello scultore che, scalpello e martello in mano, taglia con cura la pietra, fino a scoprire una magnifica scultura. In questo caso la scultura mostra una nuova immagine di Parmenide e Zenone, che emerge da quel pezzo di roccia che sono i loro testi (frammentari, peraltro, e a volte in cattive condizioni). Questa nuova immagine è tale da rimettere in discussione le interpretazioni che hanno ‘mummificato’ Parmenide facendone il filosofo dell’essere, e Zenone facendone il suo difensore. Il lavoro ermeneutico di Livio si colloca agli antipodi delle tecniche di mummificazione e riflette uno sforzo costante di ridare vita ai testi antichi.
Passiamo ora al titolo, che presenta Parmenide e Zenone come ‘sabios’ (sophoi). Non è un dettaglio secondario. In effetti, perché non chiamarli filosofi? Perché all’epoca la filosofia ancora non esisteva, come Livio rivendica con successo da tempo. Il concetto di filosofia, impiegato in senso tecnico, si incontra in fonti di inizio IV secolo a.C., in particolare in alcuni dialoghi di Platone. Per cui questo non è un libro sulla storia della filosofia ma sulla sua preistoria, una preistoria di cui Parmenide e Zenone sono stati grandi protagonisti.
Parmenide e Zenone… oppure Zenone e Parmenide, perché questo volume sovverte l’ordine degli addendi e dedica il secondo capitolo al discepolo (Zenone), il terzo al maestro (Parmenide). Qual è il senso di questa trasposizione? Mostrare, contro ciò che si ripete di solito, che Zenone non bada a confutare i detrattori di Parmenide. Lui non difende nessuno e non si propone di insegnare niente. I suoi paradossi sono dispositivi che ci inducono a dubitare di fenomeni che a prima vista ci sembrano sicuri, accertati, per esempio che Achille, il piè veloce, raggiungerà la lenta tartaruga, o che la freccia scagliata è effettivamente in movimento. Che cosa si ottiene in questo modo? Né più né meno che pensare e dar da pensare. Ad avviso di Livio, Zenone si configura come un allenatore sportivo e i suoi paradossi come esercizi ginnici per buone teste.
Quanto a Parmenide, qui si offre un’interpretazione rinnovata che si appoggia sulla totalità di ciò che si sa sul conto di questo antico maestro, e non solo a partire dai versi del poema che possiamo ancora leggere dopo tanti secoli. In questo modo, è possibile rendersi conto dell’ampiezza delle sue ricerche e della qualità delle innovazioni da lui apportate. In effetti, egli non si sarebbe occupato né soltanto né soprattutto della nozione di ‘essere’ o ‘ente’ (eon), ma anche di questioni pertinenti all’astronomia o alla riproduzione di organismi viventi. Egli avrebbe esplorato, inoltre, nuovi schemi dell’argomentazione che in seguito sarebbero stati ripresi dal matematico Euclide, dettaglio di cui si parla fin troppo poco. Uno degli insegnamenti più originali di Parmenide fu che la terra è o dovrebbe essere sferica e che, come seppe dedurre con il solo aiuto del ragionamento, dovrebbe esistere una regione temperata, simile a quella del Mediterraneo, che è precisamente questa regione, la nostra America del sud. Parmenide fu il primo a spiegarlo, e lo apprendiamo ora grazie a questo libretto che, per rendere omaggio alla ‘scoperta’ dell’emisfero sud, si pubblica prima di tutto in Argentina, la terra la cui esistenza Parmenide seppe intuire.
Come si vede, questo non è un libro qualunque. In primo luogo, niente di ciò che scrive Livio somiglia a altri scritti. Combinati insieme, il rigore nella ricerca, la chiarezza nell’esporre, l’originalità delle idee e un fine senso dello humor fanno in modo che queste pagine si trasformino in un album di nuove cartoline illustrate sulla storia di due intellettuali che ingenuamente credevamo di conoscere almeno un po’. In secondo luogo, questo libro, scritto originariamente in italiano, ci giunge grazie a una traduzione realizzata da un gruppo di studenti e colleghi la cui tenacia, sforzo e impegno sono sostegno e ispirazione. La versione spagnola cerca di trasmettere la scintilla della versione originale mentre al tempo stesso introduce gli adattamenti necessari, in modo che si possa inserire, come una voce in più, nelle discussioni su Parmenide e Zenone che hanno luogo in America latina. Il risultato è un libro che si legge con piacere.
A proposito del libro di Zenone, Livio si chiede che cosa poté accadere dopo la sua lettura e propone che, siccome quello costituiva un modo di comunicare del tutto privo di precedenti, sicuramente avrà generato una gran sorpresa e motivato discussioni il cui scopo era solo di alimentare dei dubbi per poter guardare alla realtà anche da un’altra prospettiva. A me piacerebbe fare la stessa domanda, ma sul libro di Livio che, in certo qual modo, assomiglia a quello scritto da Zenone. E mi azzardo a dire che la risposta sarebbe la stessa.
Mariana Gardella Hueso
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