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Introduzione
di Marino Gentile
La filosofia moderna costituisce di per sé un problema, in quanto viene abitualmente intesa non come un periodo storicamente definito, bensì come un grado teoreticamente necessario della ricerca filosofica.
Il termine «filosofia moderna» non vale, difatti, come una semplice designazione cronologica, ma, nonostante la varietà degli indirizzi, è presente nella coscienza della maggior parte degli studiosi come un complesso sostanzialmente unitario e organico, differenziato da caratteristiche proprie nei confronti della tradizione speculativa precedente, e assolve la funzione di vaglio obbligatorio e imprescindibile per ogni posizione di pensiero, la quale voglia presentarsi come criticamente valida.
Mi sono proposto di esaminare se quel giudizio od opinione corrente di organicità, per cui si parla del pensiero moderno come di una unità dottrinale, sia così indiscutibilmente valida, come si ritiene di solito; e quale parte abbia in tale unità il principio della ricerca critica, così drammaticamente annunciato da Cartesio all’inizio della filosofia moderna.
Indico subito, per orientamento del lettore, le due conclusioni principali, a cui mi è parso di dover giungere: e cioè che l’unità del «pensiero moderno» si debba ritrovare nell’accoglimento, più o meno coerente, del matematismo e che l’intento della ricerca critica si sia venuto componendo con esso, avendone a volte stimolo e sostegno, ma più spesso limite e arresto.
È una tesi non molto lontana da quella che guidò Brunschvicg a dimostrare, ne Les etapes de la philosophie mathématique,1 come la concezione «que la fonction de la pensée soit une fonction de résolution, qu’elle s’exerce à l’aide de la science des nombres et des figures, et que de degré en degré elle parvienne à découvrir dans le tissu enchevêtré des phénomènes l’ordre des relations mathématiques» è divenuta «avec les Galilée, les Descartes et les Newton», «la substance de la civilisation moderne».2
Senonché la tesi è qui svolta in una prospettiva opposta a quella dell’illustre filosofo francese ed è collegata con una considerazione di ordine etico e sociale.
La prospettiva è capovolta, in quanto, mentre per il Brunschvicg il matematismo era l’espressione più pura e più fedele e il valore più profondo dell’«esprit européen» (l’opera che porta questo titolo può essere giudicata il suo testamento spirituale), qui il matematismo viene considerato come un motivo di arresto dommatico della ricerca speculativa: inoltre il matematismo viene qui ricongiunto con il disegno del «regnum hominis», che domina e spiega la civiltà europea e mondiale dal Seicento ad oggi col proposito di ridurre le cose alla misura del potere umano.
Il matematismo si presenta allora come il vincolo unitario che collega tra di loro non solo i più diversi indirizzi filosofici, bensì anche, reciprocamente, le espressioni speculative e quelle produttive e pratiche della civiltà moderna.
Di un disegno storico così ampio vengono indicati qui solamente i principi direttivi e le linee più generali, e l’indagine può essere divisa, anche per la diversità del metodo seguito, in tre parti.
Nella prima, che riguarda il periodo dalle origini a Kant, ho cercato di mostrare quale parte il matematismo abbia non soltanto nella corrente razionalistica, dove esso si esprime con piena evidenza, bensì anche nella corrente empiristica, in cui esso ha il valore di una premessa pregiudiziale, nonché nello stesso criticismo kantiano, in quanto questo non risolve pienamente nel processo dialettico e critico il presupposto indimostrato del valore della matematica.
In questa prima parte mi sono preoccupato di restringermi alle testimonianze e alle discussioni essenziali, perché risultasse soprattutto l’unità e la coerenza del disegno complessivo, e ho eliminato gli sviluppi che, per la loro più materiale evidenza, potevano distogliere l’attenzione dal panorama unitario. Così, per citare un solo esempio, non ho insistito, come avrei potuto, sul corpulento matematismo hobbesiano e mi sono indugiato invece sui presupposti matematicistici, che sono impliciti nella distinzione lockiana tra qualità primarie e qualità secondarie. Non m’illudo di avere saputo tenere sempre o il più delle volte la misura giusta; ma spero che non mi sia imputata a colpa la sobrietà di taluni accenni, nei quali ho dato del resto le indicazioni essenziali per citazioni più ampie e per argomentazioni più esplicite e distese.
La seconda parte, che riguarda la filosofia idealistica, è la più difficile e, d’altronde, la più necessaria per garantire l’unità del disegno complessivo.
La tesi che l’idealismo sia limitato alla sua base dall’assunzione pregiudiziale del matematismo, è così opposta alle convinzioni abituali da suscitare addirittura un senso di stranezza.
Perciò nella seconda parte ho dovuto temperare la sobrietà usata nella prima e indugiare in qualche riferimento testuale e critico. Non c’è ragione che ne anticipi qui un’esposizione analitica; mi limito a fermare sin d’ora l’attenzione del lettore su due momenti capitali.
Nel primo, che riguarda specialmente Fichte e Schelling, ho fatto leva sull’immediatezza con cui essi assumono le conclusioni del kantismo quale garanzia di criticità; giacché, se dall’indagine precedente è risultato che il matematismo costituisce un residuo dommatico non risolto nella concezione kantiana, si pone necessariamente, per la ripresa idealistica del kantismo, la questione sino a quale punto si sia avuta consapevolezza di tale residuo e come esso sia stato eliminato dialetticamente.
Prego, poi, il lettore di fare particolare attenzione, per quel che riguarda Hegel (intorno al quale il discorso si fa ancora più arduo), alle indicazioni che vengono dalle Lezioni di filosofia della storia e segnatamente dall’immediatezza con cui egli accolse il razionalismo illuministico non come un momento, bensì come l’attuazione integrale della ragione, e così venne ad infrangere e ad arrestare, proprio nella considerazione dell’ultimo e più importante periodo della storia spirituale e civile, il processo dialettico dell’idea della libertà.
La terza parte si presenta più agevole; poiché il positivismo non tarda a dimostrare, nonostante la contrarietà dei nomi e delle apparenze, la sua struttura essenzialmente razionalistica, e tale carattere è confermato dalla complessa reazione al razionalismo, al positivismo e al determinismo, con cui è sorta la filosofia del nostro secolo.
Anche in quest’ultima parte le difficoltà si aggroppano e si annodano nella considerazione del rapporto tra idealismo e matematismo. A tale proposito mi sono studiato di rendere più esplicito quel neoumanesimo, che costituisce, a mio avviso, in pari tempo, la soddisfazione dell’esigenza del «regnum hominis» e la critica fondamentale del matematismo, con cui l’annuncio del «regnum» è stato intrecciato nella filosofia moderna.
In quest’ultima parte, infine, riprendo l’esame precedentemente svolto dei rapporti tra umanesimo e tecnica, individuando più risolutamente nei due termini le due concezioni speculative fondamentali, contrastanti e ricorrenti, dell’umanesimo perenne e del matematismo moderno.
M. G.
1. L. Brunschvicg, Les etapes de la philosophie mathématique, Paris, Alcan, 1929.
2. Ivi, p. 70.
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