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A suo tempo, Karl Marx fece la scelta fatale di non concedere alla conoscenza filosofica uno spazio veritativo autonomo dalla scienza e dall’ideologia, e questa scelta fu forse l’inevitabile prezzo da pagare alla produzione della sua geniale teoria del valore e dei modi di produzione. In questo modo, però, il marxismo non poteva diventare “erede” della filosofia classica tedesca e dei suoi predecessori, perché il nucleo di questa eredità consisteva proprio nel riconoscimento di uno spazio veritativo autonomo della conoscenza filosofica propriamente detta, non confusa e mescolata con l’epistemologia e l’ideologia.
I marxisti successivi non corressero questa scelta fatale, ma vollero ad ogni costo restarvi fedeli. Da un lato, questo provocò “in basso” lo sviluppo dell’ideologia marxista-leninista del materialismo dialettico, insuperato esempio di sottomissione della scienza e della filosofia ad un’ideologia di legittimazione del potere assoluto di un’oligarchia di burocrati crudeli ed ignoranti. Dall’altro, questo provocò “in alto” il blocco di tutti i nobili tentativi di autoriforma filosofica del marxismo, da Gramsci a Lukàcs, da Korsch ad Althusser.
Questo saggio propone di tagliare questo nodo gordiano con il colpo di spada della discontinuità dichiarata e della denuncia esplicita di ogni forma di ortodossia (a volte mascherata da eresia). È necessario tornare allo spirito di Spinoza e di Hegel, e di tutti coloro che hanno sostenuto il valore veritativo della conoscenza filosofica. Una cultura critica del capitalismo avrà tutto da guadagnare da una simile operazione.
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