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Chissà se il burattino che Geppetto aveva ricavato da un pezzo di legno da catasta destinato alla stufa è riuscito davvero a diventare un ragazzino perbene. Chissà se nella sua nuova vita operosa e giudiziosa ce l’ha fatta ad evitare le trappole e le lusinghe disseminate lungo il suo cammino dai tanti Gatti e Volpi ed Omini emissari del Paese dei Balocchi, a rimanere indifferente al richiamo delle allegre compagnie ed a tenere sotto controllo un certo fastidio per i Grilli parlanti.
Il dubbio è lecito, considerato che lunga è la via e stretto il cammino, come ricordano sentenziosamente tante fiabe, con cui il testo di Collodi è strettamente imparentato. Pinocchio libro per eccellenza delle trasformazioni e dei passaggi potrebbe anche smentire la sua stessa conclusione, tanto più che l’auspicato evento finale avviene in quel terreno dai confini incerti tra sogno e risveglio in cui il giorno incipiente si dispiega come un campo aperto a tante possibilità.
[…] Storia di un’iniziazione umana, e già questo basterebbe ad attribuire al racconto e al suo protagonista uno spessore di tutto rispetto, un respiro universale capace di mettere in moto istintivo interesse e fenomeni di identificazione più o meno consapevoli a largo raggio.
Il capolavoro collodiano, anche in questo caso, sarebbe in buona compagnia: se l’osservazione del grande filosofo Benedetto Croce (B. Croce dedicò a Pinocchio un breve, ma incisivo capitolo del 5° volume della sua La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1957, pp. 330-334) dà conto dello straordinario favore di pubblico e di critica incontrato dalle Avventure e del loro valore artistico non coglie, però, appieno la specificità di questa creazione, ciò che ne fa un’opera davvero unica e capace di risuonare, anche con corde molto diverse, in cuori lontani nel tempo e nello spazio. Bene la individua Diego Lanza, nel suo lavoro dedicato alla figura dello stolto, quando osserva che la vera grandezza di Collodi sta nell’avere dato vita inconsapevolmente «a una forte figura mitica, a un enigmatico intreccio di segni riconoscibili perennemente rivisitabile» (D. Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune, Petite Plaisance, Pistoia, 2020, p. 300).
Pinocchio è dunque trama fitta di segni risemantizzabili e non potrebbe essere altrimenti, collocandosi, a giudizio di chi scrive, all’incrocio tra fiaba, romanzo di formazione, romanzo picaro e tradizione popolare che si incontrano e si compenetrano mirabilmente grazie ad un’architettura armoniosa ed ariosa e ad una lingua di incomparabile freschezza e vivacità espressive sullo sfondo dell’Italia postrisorgimentale .
Il mio lavoro non ha l’ambizione di ricostruire il tracciato di queste diverse strade che si intersecano fino a creare una planimetria nuova, dotata di autonomia e coerenza interne, ma, piuttosto, di individuare alcuni mattoncini della costruzione ed alcuni nuclei capaci di garantire la tenuta dell’insieme.
La ricerca si muove in una duplice prospettiva: comprendere come Collodi ha risemantizzato nel suo racconto materiali preesistenti e come gli stessi materiali sono suscettibili di essere di nuovo risemantizzati da un lettore del XXI secolo. […]
I materiali narrativi oggetto della mia ricerca l’incontro con la fata, la ricerca del padre, le trasformazioni, l’albero degli Zecchini, il paese dei Balocchi per quanto trattati separatamente, non mancano naturalmente di legami fra di loro, a partire dalla figura-chiave attorno alla quale si strutturano: la strada che, a sua volta, tiene assieme l’ordito del romanzo, quello della fiaba e quello della tradizione popolare.
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