Ai bambini e alle bambine stellari,
obbligati alle guerre degli adulti
e poi abbandonati, abusati, snaturati, uccisi.
Voi esistete, identici a millenni fa.
A tutti gli Scamandrio
che tutti gli altri chiamano Astianatte.
E anche a mio zio, e a tutti i papà buoni
che con fatica affrontano il difficilissimo compito
di essere padri nella nostra società.
Il testo che segue è la mia traduzione di un paper che avevo scritto in inglese, e che ripropongo al termine nella sua versione originaria.
Le note in bibliografia, pertanto, presenteranno i testi nella loro versione inglese. Molti dei testi citati sono rintracciabili nella loro versione italiana, che qui ho omesso.
Grazie a Carmine, Ilaria e Luca, per credere nella mia bizzaria (anche) intellettuale e riconoscerla come un punto di forza. E per l’amicizia.
Questo studio ha preso forma che avevo 14 anni. Si trattava di un tema del ginnasio, tema che la mia prof.ssa di lettere aveva valutato molto male, sentendolo lontano da un’analisi puramente filologica. Aveva ragione. Come al solito, non mi ero attenuta alla traccia, e avevo spaziato, facendo di testa mia. Lo chiamano “andare fuori-tema”.
Ma per me invece il tema era centratissimo, il che mi rende probabilmente sempre tutta “fuori-tema”. Eppure, oggi sono molto grata a quella prof.ssa per lo sprone di allora che è stato anche doloroso per quella me giovanissima. E così lo studio è cresciuto insieme a me, dentro di me.
Esporlo ora alla pubblicazione non era scontato, e dunque, significa molto.
IN BREVE
La storia dell’ermeneutica di ogni tempo ci presenta Iliade VI come un’interessante “teatro” dove l’istanza bellica viene a congiungersi con quella vitale e affettiva degli amori, specialmente quando guardiamo a ciò che è stato riduttivamente trasmesso come il saluto tra due sposi, Ettore e Andromaca. In realtà, nel saluto, i personaggi in scena sono almeno il doppio e i gesti, le parole e i silenzi di ognuno e di ciascuno verranno qui esaminati attraverso la lente del dispositivo teatrale tragico e della filosofia che in esso si inscrive, vive e palpita. Assumendo l’esercizio di lettura come fosse vivo e reale noi la postura di spettatori a teatro, mentre visualizziamo i protagonisti del passo letterario come veri e propri attori e corpi teatranti , questo saggio vuole provocare gli studi filologici e le letture tradizionali di un testo ben noto, attraverso un’operazione di approfondimento di taglio filosofico-biografico e antropologico dell’antico.
Nello specifico, si tratta di uno studio eremeneutico-simbolico riferito a un personaggio molto trascurato, Scamandrio, piccola creatura stellare sulle cui spalle pesa interamente l’incerto destino della sognata salvezza di Troia. Credo che gli dobbiamo delle scuse perché, in fondo, Scamandrio non è niente altro che un bambino abbandonato. L’incontro tra padre e figlio verrà dunque disvelato in un gioco di luci e contro-luci, che rispecchiano quello sinistro tra vita e morte che si svolge poco più in là, sul campo di battaglia. Pertanto, i contributi di questa analisi a una filosofia del tragico saranno essenziali affinché si possa riesaminare la scelta di Ettore in chiave etica. Se si tratta, cioè, di una vera e propria scelta o, piuttosto, di una sofferta aporia, radicalmente umana, rivolta in definitiva alla contemporaneità slanciata cioè all’attuale che parla di noi.
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