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Un’apologia per Scamandrio, simbolo dei bambini amati e abbandonati di tutte le guerre del mondo. Cucciolo di animale umano, bimbo stellare, creatura piccina, e tuttavia pioniere e maestro del vivere radicati, del sapere del corpo, dell’istante fugace. Sapiente ma terrorizzato dalla luce dell’elmo abbagliante di Ettore, un padre, suo padre uno dei tanti destinati a morire una morte “bella”. Un combattente eccellente, Ettore, che, scarcerandosi il capo dal vincolo radicale alla guerra, posando per terra per un solo istante l’elmo di bronzo, si manifesta eroicamente nudo nelle emozioni, nel cuore, nel corpo educato alle mura difensive dell’anima. Ettore, il dolce e generoso massacratore, con un semplice passo indietro, con un ultimo abbraccio, con una (dis)sperata preghiera, provocatoriamente segnala la sua definitiva non-scelta, il suo estremo enunciato di vita, che lo allontana sensibilmente da tutte le letture scotomizzanti tra amori e doveri. Chiamato Astianatte, “signore della città” dagli altri ma non dal padre Scamandrio mostra la disarmante essenza della filosofia del tragico come pharmakon, come agape, suscitando un fulmineo, buffo, ultimo sorriso nei suoi genitori.
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