Prologo
Giuseppe Boretti sembrava destinato ad un avvenire brillante: per la provenienza sociale, per le doti intellettuali, per la determinazione del carattere, per la distinzione dell’aspetto e dei modi. Invece, morì a ventotto anni sull’Ebro, mentre combatteva in difesa della Repubblica spagnola e della sua breve e avventurosa esistenza non resta quasi traccia.
Giovanissimo antifascista milanese, promotore di una manifestazione di solidarietà a Toscanini inviso al regime, militante nel P.C.I. clandestino, conobbe l’arresto, il carcere ed il confino.
Con una fuga rocambolesca per mare riuscì a raggiungere con tre compagni la Francia dove si arruolò nelle Brigate Internazionali, destinazione la Spagna da cui non ritornò.
Rintracciarne l’itinerario esistenziale, spirituale e politico è la scommessa di questo testo.
Attraverso cinque voci narranti, cinque punti di vista diversi, a volte paralleli, a volte discordanti, ho voluto dare corpo e voce a una figura dimenticata, esemplare non solo per avere vissuto da protagonista alcuni eventi fondamentali della storia del Novecento, ma per la difficile sintesi che seppe realizzare fra aspirazioni ideali e concrete scelte di vita.
Dall’antico palazzo di Piazza Sant’Ambrogio (dove ancora adesso abita la sua famiglia) alle sierras della Catalogna teatro di sanguinosi scontri tra forze repubblicane e truppe franchiste, passando per San Vittore, Ponza e l’Elba si snoda una vicenda significativa che intreccia biografia personale e storia collettiva.
A partire da sporadiche testimonianze rinvenute in libri di memorie scritti dai suoi compagni di fede e di lotta (primo fra tutti Giorgio Amendola), dalle lettere inviate dal confino alla sorella, notevoli per la forza morale, la vivacità dello stile e uno spiritello ironico che fa giustizia di ogni tentazione eroicizzante, dai ricordi familiari di una nipote allora piccolissima, la narrazione ripercorre le tappe salienti della vita di Giuseppe Boretti, cercando di scoprire, oltre gli avvenimenti, la verità umana del personaggio.
A raccontare sono:
la sorella, alle prese con l’enigma rappresentato da un fratello amatissimo divenuto improvvisamente uno sconosciuto, protagonista di una dolorosa rottura, affettiva e politica, con l’ambiente familiare;
un commissario di polizia che crede di avere a che fare con un esaltato figlio di papà pronto a rientrare nei ranghi e si ritrova, invece, davanti a un sovversivo inesorabilmente votato a perdersi;
un ragazzino dell’Elba, per il quale il giovane confinato è una specie di pirata che suscita in lui un’istintiva simpatia;
una studentessa parigina, attivista per la causa spagnola, che si invaghisce a prima vista dell’esule italiano, con il quale, però, non riesce mai ad avere un appuntamento;
un vecchio compagno di Ponza, poi volontario in Spagna dove ha combattuto fianco a fianco con Boretti fino a quel 9 settembre 1938 in cui l’ex studente milanese cade di fianco alla sua mitragliatrice. È lui a fare comprendere poco per volta alla sorella che non riesce né a capire la sua scelta, né ad accettare la sua morte che “ne è valsa la pena”.
Per tutti e cinque, ricostruire, a vent’anni dalla sua scomparsa, l’incontro con Giuseppe Boretti significa, in fondo, fare i conti con se stessi, trarre il bilancio della propria vita, dipanare il filo sottile che separa illusioni e realtà.
Comunque, il ragazzo che seppe rinunciare senza rimpianti al posto privilegiato che la sorte gli aveva riservato alla nascita è riuscito, in qualche modo, a cambiarli, a scalfire certezze, a seminare il tarlo del dubbio, ad alimentare domande cui la sua vita potrebbe essere una possibile risposta.
|