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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 433

Sergio Arecco

Docu doc. La non fiction delle meraviglie. Appendice iconografica di 30 pp., con 112 immagini tratte dai 126 film analizzati di 111 registi [Allio R., Anderson L., Anspach S., Antonioni M., Azevedo L., Banksy, Bartas S., Bellocchio M., Bellon Y., Bergman I., Brault M., Brenta M., Buñuel L.,Cantet L., Capra F., Cavalcanti A., Cavalier A., Cavani L., De Oliveira M., De Seta V., De Villers, K. Debord G., Di Gianni L., Dionisio I., Drew R., Dreyer C.Th., Durell S., Eames Ch., Eames R., Emmer L., Erice V., Erwitt E., Farrokhzad F., Ferno J., Ferrario D., Frammartino M., Franju G., Garrone M., Gianikian Y., Gitai A., Gomes M., Gras E., Grimm Th., Groulx G., Guzmán P., Harrison T., Herzog W., Horne D., Hulscher H., Ioseliani O., Ivens J., Jennings H., Junge W., Kazan E., Kieslowski K., Kirsanoff D., Kluge A., Królikiewicz G., Kubrick S., Kylián J., Lajolo A., Leacock R., Lemmel D., Lombardi G., Loznytsja S., Maddin G., Majewski L., Mangini C., Marker Ch., Mazzetti L., McAllister S., Mekas A., Mekas J., Mingozzi G.,  Morris E., Morrison B., Mosese L.J., Muir D., Nyman M., Olmi E., Ôshima N., Ouédraogo I., Painlevé J., Parr M., Pasolini P.P., Patierno F., Pelesjan A., Pennebaker D.A., Piavoli F., Pollet J.-D., Reisz K., Reitz E., Resnais A., Ricci Lucchi A., Richardson T., Ridley Ch.A., Risi N., Rizzo E., Rosi G., Rouch J., Segre D., Sgarbi E., Sokurov A., Spada M., Symes P., Taffarel G., Varda A., Wang Bing, Watkins P., Watt H., Wright B.].

ISBN 978–88–7588-366-9, 2023, pp. 320, formato 170x240 mm, Euro 35 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [9].

In copertina: Girolamo Romanino, Crocifissione di Cristo (ca. 1534 [con riferimento a Elisabetta Sgarbi, Dimenticare Tiziano. Girolamo Romanino a Pisogne (2009) e Id., La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica (2016)], affresco, Santuario di S. Maria della Neve, Pisogne (BS), particolare.

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35,00

Introduzione

Ai giorni nostri, quando una persona vive da qualche parte in un quartiere periferico, il posto non è certificato ai suoi occhi, e ci vivrà di sicuro con tristezza. Ma quando vedrà un film che mostra quello stesso quartiere, le diventerà possibile viverci, almeno per un po’ di tempo, come una persona che è da Qualche parte e non da Nessuna parte.

William Percy,

L’uomo che andava al cinema, cap. I, 1961

Ufficialmente, papà era un documentarista e la mamma una documentecaria, e pochissime persone conoscono la differenza. La differenza è che un documentecario è più simile a un bibliotecario, mentre un documentarista somiglia più a un alchimista. Ma entrambi facevano in sostanza la stessa cosa: dovevano scovare suoni e immagini, registrarli, conservarli su nastro o pellicola e poi assemblarli in modo da raccontare una storia.

Valeria Luiselli,

Archivio dei bambini perduti, cap. I, 2019

È un libro, accuratamente aggiornato, che in certo modo parla da sé. Basta scorrere la cronologia del volume, con i titoli ben ordinati per anno, nome del regista, nazionalità, per accorgersi che la storia del documentario coincide con la Storia tout court, quantomeno dall’anteguerra al primo dopoguerra; che il documentario è nella maggior parte dei casi, documentario di attualità, per non dire, usando un lessico d’altri tempi, ‘attualità’; e che la sua misura ideale è quella del cortometraggio. E due esperienze recenti – un lungo come All the Beauty and the Bloodshed (Tutta la bellezza e il dolore, Laura Poitras, 2022), microscopia della singolarità della fotografa americana Nan Goldin, vince il Leone d’oro a Venezia; un altro lungo come Sur l’Adamant (Nicolas Philibert, 2023), microscopia dell’unicità di una comunità di adulti con disturbi mentali ospitati in una struttura galleggiante sulla Senna a Parigi, vince pochi mesi dopo l’Orso d’oro a Berlino, giusto a dieci anni di distanza da Sacro GRA (Gianfranco Rosi, 2013, Leone d’oro a Venezia), microscopia della molteplicità del Grande Raccordo Anulare romano – rappresentano giusto l’eccezione che conferma la regola.

‘Attualità’, si diceva. E, in quanto ‘attualità’ da proiettare in sala prima del film in programma, la pellicola era infatti obbligata a rispettare determinate logiche, temporali e formali. Che noia sarebbe stata, per un pubblico generalmente popolare, ansioso di vedere una commedia scacciapensieri, o magari anche un drammone spettacolare, dover ‘subire’, per più di venti minuti o anche mezz’ora, lo ‘spettacolo’ di minatori al lavoro nei pozzi, di pescatori che calano le reti, di contadini nei campi. Solo in Unione Sovietica il documentario è stato, perlopiù, sinonimo di lungometraggio (Ejzenštejn da una parte, Dovženko dall’altra: il poema d’avanguardia e il poema lirico, con i rispettivi discepoli), ma lo è stato in primo luogo per ragioni di acculturazione del popolo, ideologica e politica, oltre che estetica.

Non a caso non risulta repertoriato, nel libro, alcun documentarista sovietico. Mentre abbondano, per quanto riguarda il suddetto periodo, gli Ivens, i Grierson, i Buñuel, i Cavalcanti, i Rouch, i Ridley, con le loro documentazioni della Guerra di Spagna, della Seconda guerra mondiale e dei lager nazisti, dell’Inghilterra minacciata, delle condizioni agrarie-territoriali-storiche della Cina o del Giappone o dell’Africa. Con l’interludio del documentario d’arte (il fenomeno Luciano Emmer in Italia, il fenomeno Alain Resnais in Francia) o scientifico (il fenomeno Jean Painlevé, sempre in Francia), a spezzare, con un adagio ma non troppo, l’andante focoso delle testimonianze di conflitti bellici, carestie, schiavitù, epidemie, catastrofi ambientali. Fino a che, con il dopoguerra, e la faticosa ricostruzione, si afferma il documentario del quotidiano, non diciamo propriamente neorealistico (un Antonioni non lo è), diciamo più semplicemente umanistico, ancora centrato sul mondo del lavoro e sulla sua più diversa geografia, di personaggi e di paesaggi, e con un iconico – pregnanza, condensazione del significante in icona – sempre più marcato.

In Italia, un De Seta, un Piavoli, un Di Gianni, un Olmi, un Mingozzi, un Nelo Risi, nascono come documentaristi. All’estero, il free cinema inglese (Reisz, Richardson, Mazzetti, Anderson), nasce con il documentario d’impegno sociale ambientato nei suburbia; il nuovo cinema tedesco (di cui un Werner Herzog, documentaristico sempre, anche quando fa della fiction, è solo l’ultimo insigne rappresentante), nel “Manifesto di Oberhausen” firmato da futuri autori a trecentosessanta gradi come Edgar Reitz e Alexander Kluge (coetanei), addita proprio nel documentario la formula giusta per ripartire, rimuovendo una volta per tutte le macerie del passato; in America, il cinema di denuncia o comunque di illustrazione del momento politico-sociale, vanta un’origine in tutto e per tutto documentaria, da Meyers a Pennebaker, da Rogosin a Drew, fino a divenire, in tempi più recenti e recentissimi, vero e proprio ‘manifesto’ di un esistente da conoscere a fondo in prima istanza, e da cambiare a ogni costo, nei comportamenti e nei fatti, in seconda istanza – vien da dire, per fare un esempio recente, che anche il celebrato Nomadland (Chloe Zhao, 2020) sarebbe un buon documentario sugli hobo del terzo millennio (muniti di cellulare), se non fossse banalizzato dalla presenza finzio­nale, attoriale, professionistica, di Frances McDormand.

Mentre da un lato, un Ôshima in Giappone o un Perrault in Canada si occupano magari – la parte per il tutto – di pesca, e di pesca dura e sfiancante, dall’altro grandi fotografi come Martin Parr o Elliot Erwitt non si limitano ad accumulare scatti e istantanee: compongono, viaggiando da Occidente a Oriente, album per immagini in movimento che non sono meno pregiati dei loro portfolio per immagini fisse, e sono parimenti esaustivi, in materia sia di costumi attuali sia di tradizioni mai dimenticate. Per non parlare di uno dei massimi pittori di oggi, lo scozzese Peter Doig, il quale fa in modo che i suoi enormi paesaggi assorbano il distillato di tanta pittura del passato fino a far loro sviluppare la potenza e le dimensioni di un grande schermo cinematografico.

È fondandosi su basi del genere che, in anni più vicini a noi, il documentario torna e esprimersi nella forma del lungometraggio. E vengono subito in mente, per l’Italia, nomi come Elisabetta Sgarbi e Irene Dionisio, Daniele Segre e Andrea Segre, Gianfranco Rosi e Silvio Soldini, Michelangelo Fram­martino e Francesco Patierno (i loro primi corti sono inclusi nel volume). Per gli Stati Uniti, personalità illustri come Frederik Wiseman e Bill Morrison. Nonché, a latere sia per la sua dichiarata eterodossia sia per la sua nazionalità neozelandese, la figura dell’eclettico Peter Jackson, “il signore degli anelli”. Il quale, con They Shall Not Grow Old (Per sempre giovani, 2020), dopo aver visionato per un anno negli archivi dell’Imperial War Museum centinaia di ore di materiali relativi alle Grande Guerra (commissionato per il centenario dell’Armistizio), arriva a violare le regole di documentario classico selezionando riprese ad hoc, ricostruendone artificialmente il sonoro, rivitalizzandone la grana fotografica, convertendola in 3D (al contrario di Morrison) e trasformando infine il tutto in una cronaca per così dire romanzesca. Un Jackson polivalente che sforna un ulteriore tutto con il concomitante The Beatles: Get Back (2020, titolo del brano del 1969 compreso in Let It be), dopo aver visionato presso The Beatles Archives, insieme ai collaboratori Claire Olssen e Jonathan Clyde, cinquantacinque ore di filmati inediti girati nel 1969 dallo specialista Michael Lindsay-Hogg, già autore di Let It Be (1979), e dopo aver acquisito centoquaranta ore di registrazioni audio mai ascoltate – comprese le immagini dell’ultima apparizione dei Fab Four nel concerto improvvisato sul tetto di Savile Row, centro di Londra, il 30 gennaio 1969.

Per la Russia – qui basta un’unica indicazione, con un rinvio esplicito a ben tre titoli inclusi nel volume –, un grande nome come quello di Serhij Loznytsja (suo, realizzato in concomitanza con i tragici eventi di Ucraina, Babi Yar, 2022, evocazione struggente del massacro del novembre 1941 per mano dei nazisti: 33.777 ebrei di Kiev trucidati). Per la Cina – anche qui basta un’unica indicazione, con un rinvio esplicito a un film esemplare incluso nel volume – un altro grande nome come quello di Wing Bang. Cineasti che, pure, non sono soltanto ‘nomi’, benché talora eminenti, quanto cineasti di sicura valenza culturale ed estetica, innovatori del genere. I quali, tuttavia – a parte l’immenso Wiseman, un artista sommo, senza confini, dallo sguardo naturalmente dilatato nel tempo e nello spazio, capace di tradurre certi scrutini in re in altrettanti realia a largo raggio –, hanno fatto le loro prime esperienze grazie a corti d’autore, ai quali il volume dà ampio risalto.

Per non parlare di Chris Marker. Lo si trova già nell’immediato dopoguerra e lo si trova per l’intera seconda metà del XX secolo, fino al Duemila e oltre, alle prese con l’iconico digitale e la rivoluzione tecnologica: prima, nel cuore delle lotte operarie o di Valparaíso, di una pseudo-fiction a sfondo apocalittico o del Maggio parigino; poi, dietro le quinte di uno studio avveniristico o dietro la vanitas di uno schermo vuoto. Di Marker, non a caso, esistono pochissime fotografie. Egli si è sempre mosso per il mondo come un fantasma, a volte mascherandosi, non lasciando sempre il proprio nome, spesso collaborando in forma anonima ma con una sostanza di suggerimenti in grado di orientare inequivocabilmente un intero immaginario, singolo e collettivo. Come se, del documentario contemporaneo, sovente negletto, fosse stato, fino alla morte (avvenuta in sordina nel 2012, a novant’anni) il nume tutelare, il genio nella lampada, quello che non si vede mai – come talvolta è accaduto al documentario stesso – e che pure alimenta la fiamma e compie i miracoli.

Si è scritto, poco sopra, pseudo-fiction. Della quale si occupa, di recente, Russell Bancks (Il dolce domani, Affliction), scrittore che nel suo ultimo romanzo, I tradimenti (2022, ultimo davvero, Bancks morirà nel gennaio 2023), elegge a protagonista Leonard Fife, un giornalista prodigio dell’intervista, incline a fondere, nei suoi documentari, i realia e le fabulae mendaces. Perché sì, sostiene Banks/Fife, realtà e finzione s’intrecciano anche dentro di noi, e spesso un maestro di realia può trovarsi davanti un passato che non riesce del tutto a decifrare. Per cui è obbligato a inventare. Magari solo un po’, ma Herzog, talvolta ad alto tasso di finzione, prodotti ibridi perennemente in bilico tra autofiction, docufiction e persino non fiction. Non è detto che sia sempre così. Herzog è più l’eccezione che la regola, e basterebbe a smentirlo proprio l’opus magnum di Wiseman. Se non fosse che, come si accennava, Marker basterebbe a smentire Wiseman, e allora si rimetterebbe ancora una volta in gioco, nel documentario come in tutta la storia del cinema, la grande, eterna querelle del vero e del falso. Al punto da indurci a orientare il senso del nostro sottotitolo, allusivo per statuto alla non fiction, verso una nozione non tassonomica del termine. In quanto il cinema resta sempre uno, uno e indivisibile, cinema fratto cinema o cinema esponente cinema, refrattario per sua natura a classificazioni e griglie riduttive.

La metà circa dei microsaggi selezionati proviene da: Sergio Arecco, Il cinema breve, prefazione di Goffredo Fofi, 2016, Edizioni della Cineteca di Bologna, il cui direttore, GianLuca Farinelli, e la cui responsabile editoriale, Paola Cristalli, amichevolmente ringraziamo. I restanti sono inediti. Gli editi sono stati tutti riveduti e, nella maggior parte dei casi, ampliati e aggiornati.

Appendice iconografica di 30 pp., con 112 immagini tratte dai 126 film analizzati di 111 registi [Allio R., Anderson L., Anspach S., Antonioni M., Azevedo L., Banksy, Bartas S., Bellocchio M., Bellon Y., Bergman I., Brault M., Brenta M., Buñuel L., Cantet L., Capra F., Cavalcanti A., Cavalier A., Cavani L., De Oliveira M., De Seta V., De Villers, K. Debord G., Di Gianni L., Dionisio I., Drew R., Dreyer C.Th., Durell S., Eames Ch., Eames R., Emmer L., Erice V., Erwitt E., Farrokhzad F., Ferno J., Ferrario D., Frammartino M., Franju G., Garrone M., Gianikian Y., Gitai A., Gomes M., Gras E., Grimm Th., Groulx G., Guzmán P., Harrison T., Herzog W., Horne D., Hulscher H., Ioseliani O., Ivens J., Jennings H., Junge W., Kazan E., Kieslowski K., Kirsanoff D., Kluge A., Królikiewicz G., Kubrick S., Kylián J., Lajolo A., Leacock R., Lemmel D., Lombardi G., Loznytsja S., Maddin G., Majewski L., Mangini C., Marker Ch., Mazzetti L., McAllister S., Mekas A., Mekas J., Mingozzi G.,  Morris E., Morrison B., Mosese L.J., Muir D., Nyman M., Olmi E., Ôshima N., Ouédraogo I., Painlevé J., Parr M., Pasolini P.P., Patierno F., Pelesjan A., Pennebaker D.A., Piavoli F., Pollet J.-D., Reisz K., Reitz E., Resnais A., Ricci Lucchi A., Richardson T., Ridley Ch.A., Risi N., Rizzo E., Rosi G., Rouch J., Segre D., Sgarbi E., Sokurov A., Spada M., Symes P., Taffarel G., Varda A., Wang Bing, Watkins P., Watt H., Wright B.].

In copertina:

Girolamo Romanino, Crocifissione di Cristo (ca. 1534),

[con riferimento a

Elisabetta Sgarbi, Dimenticare Tiziano. Girolamo Romanino a Pisogne (2009)

e Id., La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica (2016)],

affresco, Santuario di S. Maria della Neve, Pisogne (BS), particolare.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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