I due saggi di Metafisica umanistica che qui si presentano sono l’elaborazione di un processo di consapevolezza e condivisione.
Non è sufficiente la critica sociale.
Ad essa è necessario affiancare un percorso di proposta metafisica per uscire dalla caverna del nichilismo crematistico.
Il dominio non teme le critiche: se non sono corredate e sostenute da proposte alternative ricadono su se stesse. Si pone in essere un circolo che, malgrado le intenzioni, rischia di essere sterile.
Per rompere la cappa ideologica in cui siamo gettati non è sufficiente la critica sociale, essa dev’essere parte di un percorso che conduce a elaborare proposte teoretiche che possono consentire la prassi. Teoretica e prassi sono il binomio che ha come fine la trasformazione materiale del mondo. Pertanto la filosofia prassi per sua costituzione epistemica deve prevedere, oltre la critica radicale, risposte progettuali sullo stato presente.
La Metafisica umanistica è risposta al “tutto domandare della filosofia”, è pensare il proprio tempo storico e rispondere a esso. Senza logos-verità non vi è alternativa e non vi è umanità.
La Metafisica umanistica riparte dunque dal logos e dalla verità.
Devo all’amico Luca Grecchi la scrittura di questi due saggi. Le parole condivise e ascoltate nel nostro percorso amicale hanno contribuito a far emergere progetti e nuove consapevolezze.
Scrivere di Metafisica umanistica non è semplice; per poter dare-donare il mio contributo non ho potuto che avere quale punto di riferimento i decennali studi di Luca Grecchi, il quale ha rischiato il nuovo in un’epoca di conformismo e di politicamente corretto che potremmo tradurre con “politicamente scorretto”.
Non sono secondarie le conversazioni con Alessandro Dignos, di cui stimo l’attenzione per la realtà politico-sociale. Luca Grecchi e Alessandro Dignos da anni donano il loro contributo all’associazione culturale Petite Plaisance, da me scoperta casualmente durante una ricerca in rete. L’incontro con Petite Plaisance e con Carmine Fiorillo, suo ideatore, è stato fondamentale, in quanto d’ausilio per condurre in atto ciò che era in potenza: la ricerca di una nuova visione del mondo con la quale decifrare il presente e progettare il futuro. Uso il termine “decifrare”, poiché la realtà storica, per la sua complessa dinamicità, appare a volte “misteriosa” e “irrazionale” e le categorie con cui, fino a pochi decenni fa, si interpretavano i fatti storici non sono più sufficienti a tale operazione ermeneutica. Dobbiamo coniarne altre per non cadere nella notte della ragione.
Petite Plaisance è una koiné nella quale le differenze biografiche si ritrovano e si riconoscono nel comune terreno della verità. In essa Metafisica umanistica è già prassi e realtà e ciò è fondamentale per ben pensare.
L’urgenza storica della Metafisica umanistica è dinanzi a noi, ma, come spesso accade, il noto è sconosciuto. Se riflettiamo sui “quotidiani comportamenti divenuti automatismi” (inviare email, accendere TV, PC, usare smartphone ecc.) e sui semplici gesti che ci accompagnano nel lavoro e nella vita privata ci accorgiamo che, malgrado la “pienezza degli stimoli”, il nostro tempo è privo di progettualità e umanità. L’automatismo stimolo-risposta sta prevalendo sulla capacità progettuale, poiché si è irretiti all’interno di una temporalità circolare in cui manca il fine e tutto è ripetitivo. Siamo cioè all’interno di un sistema che chiede in modo sottilmente autoritario di contribuire al suo funzionamento senza la mediazione razionale.
La progettualità, invece, è fonte di conoscenza di sé e dell’umano, mentre il sistema capitale ci invita a rinunciarvi per poter vivere il mito dell’abbondanza edenica che si materializzerà in un tempo indeterminato. Il quotidiano susseguirsi dei giorni e degli anni è incapsulato in una dimensione mitica e superstiziosa, poiché manca la mediazione della ragione e la ricerca di un significato onto-assiologico. Prevalgono la frammentazione e la temporalità governata da slogan e dalla produzione dei miti dell’abbondanza onnipresenti nella pubblicità, che occupano lo sguardo fino a cancellare ogni principio di realtà.
Un essere umano senza natura è consegnato al mercato, disponibile ad adattarsi lascamente agli imperativi del mercato che esigono obbedienza. In realtà l’obbedienza è stata sostituita dal comando pervasivo e invisibile del sistema con i suoi messaggi onnipresenti e senza mittente, perché astratti dai gruppi dominanti. La trasmissione delle prescrizioni del sistema anonimo e impersonale del capitalismo e della conseguente razionalità strumentale sono i tratti salienti del nuovo totalitarismo globale. Tutto è ridotto a bieca trasmissione, a impianto impersonale, non vi è l’obbedienza ma automatismo impersonale.
Il verbo “obbedire”, dal latino oboedire, composto da ob (verso) e audire (ascoltare), non è più attuale in un sistema che non ci chiede di ascoltare, ma di eseguire senza ascoltare le parole che ordinano la direzione verso cui andare, mentre l’obbedienza presuppone l’attività del logos, ma noi siamo, invece, in uno stato di passività totale.
La Metafisica umanistica è logos ed ascolto delle parole. Essa dimostra che solo il logos è capace di definire la natura dell’essere umano e di progettare la direzione ideale dell’umanità, ma lo sviluppo di esso è possibile solo in un orizzonte condiviso in cui rendere reale il bene individuale e comunitario. Essa non ha lo scopo di affermare la superiorità della filosofia sulle altre scienze, ma riporta la filosofia al suo fondamento originario curvato nella storia degli uomini e delle donne: la ricerca della verità con la quale decodificare per capire qualitativamente il nostro tempo storico e progettare. Non si tratta di un giudizio moralistico, in quanto il giudizio è argomentato ed è preceduto dalla comprensione della totalità filtrata attraverso il paradigma della verità razionale. Il noto ringiovanisce negli occhi di chi lo guarda per comprenderne le strutture essenziali; senza tale gesto non vi è riorientamento gestaltico e la rivoluzione, ovvero il cambio di prospettiva, in cui alla passiva accettazione dei dati con la loro acefala idolatria si sostituisce la partecipazione e la liberazione del logos reso muto, perché intrappolato nella tagliola del dicitur e dell’astratto, è tale solo se il riorientamento gestaltico coinvolge le coscienze e le istituzioni.
Si tratta di un’operazione che responsabilizza e non vi è responsabilità senza giudizio da tradurre faticosamente in prassi. Non si tratta di salire in cattedra e giudicare “il mondo”, ma di avviare un percorso d’incontro sulla comune natura del logos, allo scopo di riportare la buona vita dove imperano l’irrazionale e i processi di derealizzazione. La Metafisica umanistica si distingue dalla Metafisica classica, in quanto coniuga l’aspetto teoretico alla prassi e con tale movimento ci rammenta che la filosofia, sin dalle origini, è stata attività di riflessione politica, il cui scopo era ed è la “buona vita”. L’eudemonia, la felicità, non è una realizzazione del singolo. Ogni soggetto umano è legato in modo naturale alle vite dei cittadini e delle cittadine con cui condivide l’esistenza, per cui la felicità non si risolve nelle scelte personali, pur importanti, ma è un dato politico che coniuga comunità e società. La prima è già data, in quanto si nasce in una rete di significati, storie e linguaggi, la seconda, ovvero la società, invece, è la libera adesione ad un progetto.
La Metafisica umanistica contempla il bene argomentato razionalmente, che dev’essere vissuto nella storicità dell’essere umano che coniuga la società e la comunità. La prassi è “partecipazione” alla realizzazione del “bene”, la felicità è nel carattere solidale di tale movimento dialettico che contempla la cura dei singoli mediante la gioia problematica del logos che si esplica in tale dinamismo. La cura deve prevedere la soddisfazione dei bisogni primari senza i quali il logos non può essere portato in atto. Senza la chiarezza concettuale della natura umana non vi può essere progetto né felicità, ma solo il cupo scorrere dei giorni. La Metafisica umanistica è dunque metafisica della prassi del “bene comune”. Il suo scopo ultimo è la felicità e l’attuazione del logos, dato che altra cosa è semplicemente “vivere”, anche se nell’abbondanza. Senza il logos, anche l’abbondanza si svela pratica della miseria dello spirito, poiché è mutila della natura umana. La prassi è la sintesi del bene degli individui, sul comune fondamento del logos-linguaggio, che determina i fini comuni nel rispetto delle individualità. La Metafisica umanistica è un ordito nel quale la teoria e la prassi si pongono in feconda tensione in funzione della felicità. L’ideale della felicità-bene consente di comprendere il cammino verso cui andare in un momento storico segnato profondamente dalla dispersione atomistica e dalla misologia.
“Fare filosofia” per la Metafisica umanistica è conoscere il bene ed operare per il bene. La Metafisica umanistica reca una serie di effetti non secondari, ridona dignità alla filosofia, non certo quella delle Accademie, spesso pura erudizione storica: la filosofia è al contrario pratica del bene e filosofo è colui che vive la difficile esperienza del bene, progetta il futuro, analizzando il presente, e riannoda i fili invisibili che ci legano al nostro passato: «In questa situazione, perché dovrebbe avere ancora senso dirci Greci? Ciò ha ancora senso proprio perché gli antichi Greci, come dicevamo in precedenza, furono coloro che per primi o maggiormente posero l’uomo al centro dell’essere, ossia posero la massima cura alla felicità dell’uomo nel proprio contesto sociale, pur nel rispetto dei limiti imposti dalla natura. Seguendo gli antichi Greci, potremo esercitare la sola possibilità che ci resta di arrestare il fiume antiumanistico prodotto dalla crematistica, la cui hybris rischia di distruggere l’uomo e il cosmo»1.
La Metafisica umanistica non è ontocentrica, poiché ha quale centro l’essere umano. L’Essere coincide con l’essere umano comunitario e concreto come i pensatori dell’antica Grecia ci hanno insegnato: «La riflessione dell’essere fu molto importante nel pensiero classico. Essa infatti occupa un posto rilevante non solo nel pensiero di Parmenide, ma anche nel pensiero di Platone ed Aristotele (sebbene si sia poi sempre più diradata nell’ellenismo). Tuttavia l’essere costituì, per utilizzare una metafora, la semplice cornice del quadro. Al centro, infatti, rimase sempre l’uomo»2.
A noi spetta continuare un “sentiero antico” senza idolatrie, per confrontarci con il passato e capire il nostro presente ed i nostri errori che restano, malgrado tutto, “umani troppo umani”. La Metafisica umanistica combatte la “volontà di non sapere” generalizzata; in essa è la consapevolezza che la pratica dell’illimitato crematistico sia la perversa forza titanica che minaccia la distruzione dell’umanità e di ogni forma di vita con il nichilismo astratto. È volontà di sapere e di conoscere la verità dell’Essere dell’uomo per intraprendere una lunga lotta contro l’illimitato che tutto divora e mercifica.
Nel seguente testo il termine “trascendente” è utilizzato in due accezioni: il trascendente assoluto è il fondamento dei fondamenti, ovvero l’Assoluto da cui tutto dipende e senza il quale la realtà immanente rischia di franare nell’irrazionale. Il termine trascendente, di cui si occupa il testo, è l’essere dell’essere umano che si esplica nel logos, il quale è l’attività onto-assiologica del “meta”, e dunque dell’oltre, con la quale ci si dispone all’ascolto razionale ed empatico. Il trascendentale coincide con il trascende, ma se ne differenzia, poiché per trascendentale si intende la potenzialità propria dell’essere umano che necessita di condizioni materiali e psicologiche per manifestarsi nell’immanenza della storia divenendo “trascendente realizzato”.
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Nel trionfo della merce vi è la sconfitta dell’essere umano. Ogni persona soccombe in tale logica, anche i vincitori si disumanizzano fino a diventare “esseri mascherati da persona”, nei quali risuona il niente e diventano veicolo dell’annientamento generale. Se le relazioni sono solo un mezzo per l’accumulo, se ogni essere umano è un mezzo, è inevitabile il processo di disumanizzazione generale. Il bene e il male si confondono fino a scomparire. In tale contesto epocale il capitalismo diviene la perversa religione monoteista, in cui ogni azione, agire e gusto è riportato al solo paradigma del calcolo.
Il pensiero finanziario diviene pensiero unico: le entrate e le uscite sono il paradigma con cui valutare ogni agire. I costi e i guadagni permeano la vita nella sua interezza. La libertà si misura sulla quantità di denaro posseduta e sulla capacità di spesa. Coloro che non hanno “rilevanza di spesa” sono “esseri irrilevanti” da usare, sfruttare e buttar via in modo eguale alla merce consumata.
Il vuoto metafisico consente alla finanziarizzazione integrale di espandersi senza incontrare il katechon (freno etico e metafisico) della facoltà di giudizio con cui valutare qualitativamente il modo di produzione capitalistico. Senza metafisica e fondazione veritativa non vi è libertà, poiché il soggetto libero deve saper discernere il “bene dal male” e la “verità dalla menzogna”. Senza fondazione metafisica il soggetto non oppone resistenza, ma disperatamente si adatta alle tempeste della finanza per sopravvivere. Al di là delle differenze di censo l’esistenza è sopravvivenza, in quanto la rovina materiale e la marginalità sociale possono agguantare chiunque. La libertà è la forza economica con la quale si trasforma ogni occasione in mezzo per la crematistica. Il carpe diem dell’economicismo è azione con cui estrarre da persone, enti e circostanze plusvalenza da usare per il gigantismo finanziario. La libertà si misura sul potere d’acquisto, è la crematistica a stabilire la misura della stessa.
Libertà, invece, è prassi di discernimento onto-assiologico. Bisogna immergersi nel male dell’economicismo per comprendere l’urgenza della Metafisica con cui progettare la riumanizzazione della vita e delle esistenze.
Nel presente scritto l’intento è dimostrare che il liberismo nella sua corsa verso il totalitarismo aziendale-crematistico si è impossessato del binomio verità-bene con il bis-pensiero orwelliano. Il bene è in realtà pratica del male, poiché ciò che il sistema “definisce bene-giustizia-verità” è annichilimento e sfruttamento delle vite precarizzate e fluide. La libertà divenuta negazione di ogni stabilità identitaria e concettuale è solo il passaggio da uno stato emotivo ad un altro, da un consumo vorace al tedio, in questa successione il soggetto si decompone. La progettualità è sostituita con il tempo frammentato e caotico. L’urgenza del bene è una necessità storica, ma per giungere ad essa si deve attraversare la malvagità del bene, ovvero la parola bene è usata per fini malvagi.
Il discernimento tra il bene e il male dev’essere ristabilito. A tale scopo si deve reimparare a distinguere il “male” dalla retorica sanguinaria del “bene”. Per poter definire il “bene” diviene indispensabile mostrare il “male” nella sua concretezza metamorfica e da tale processo risalire verso la definizione di verità-bene. Problematizzare i principi veritativi non significa arenarsi nella pratica dell’aporia, ma sciogliere coralmente i nodi filosofici.
La filosofia è per sua fondazione e tradizione antiindividualistica e anticrematistica, pertanto la problematicità è condivisione di concettualizzazioni perfettibili con cui la qualità decodifica la quantità nella chiarezza dei suoi presupposti. La filosofia è processo comunitario nel quale i risultati sono perfettibili. La verità non è trasmessa cadavericamente, ma è risemantizzata continuamente. La profondità della verità e del bene è in questo percorso di concettualizzazione che non conosce arresti.
Il capitalismo è fenomeno storico, tramonterà inevitabilmente, ma dopo di esso l’umanità avrà il compito di ricostruire con la speranza nella giustizia la fiducia tra gli esseri umani. Il totalitarismo della merce ha reso l’uomo semplice quantità da usare o da eliminare, il segno del capitale potrebbe essere indelebile.
Capitalismo è ogni governance che mercifica e passivizza la persona. Le tragedie e le guerre per la conquista dei mercati e la razzia delle risorse, nel tempo attuale, hanno assunto tratti apocalittici.
La consapevolezza delle sue contraddizioni è stata sostituita dalla pedagogia della resilienza. L’assoluto del capitale è di ordine storico, pertanto è interno alle logiche della storia. Appare “Assoluto”, ma è logorato da contraddizioni interne e dal saccheggio delle risorse limitate del pianeta che lo alimentano.
Il grande quesito è se dopo la sua caduta, sarà possibile per l’essere umano intessere relazioni di disinteressata amicizia e condivisione. Alla Metafisica spetta il compito di preparare la svolta e di impedire che la fine del modo di produzione capitalistico sia motivo di barbarie.
Solo la verità e il bene possono salvare l’umanità dalla barbarie della crematistica.
Salvatore Bravo
1 L. Grecchi, Perché non possiamo non dirci Greci, Petite Plaisance, Pistoia, 2010, p. 73.
2 Ibidem, p. 44.
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