|
Gli studi teatrali più numerosi e noti di Diego Lanza sono quelli dedicati alla tragedia attica e al tragico nelle sue diverse accezioni profondamente modificate nella storia della cultura occidentale, dalla Grecia antica all’Europa moderna, a partire dalla Poetica di Aristotele, l’inizio fondativo di tutte le successive riflessioni. Solo con la fine degli anni Ottanta del secolo scorso, dunque nella piena maturità, Lanza ha avviato e proseguito sistematicamente l’esplorazione dei testi comici antichi con particolare e più frequente attenzione per Aristofane e i suoi Acarnesi, la commedia prediletta, e con due studi dedicati a Menandro e alla commedia nuova di IV secolo. La raccolta dei saggi compresi in questa raccolta e ordinati cronologicamente consente ora di cogliere le linee portanti e i punti salienti di un lavoro critico penetrante, sempre molto documentato sullo stato dell’arte e, al contempo, sempre molto personale nel metodo e nell’individuazione dei problemi interpretativi. Come negli studi sulla tragedia, Lanza si accosta alla commedia incrociando le competenze linguistiche e testuali del filologo con il punto di vista dello spettatore appassionato e intenditore dei meccanismi dello spettacolo. Così, il doppio piano e la doppia chiave di analisi fanno affiorare dalle drammaturgie conservate ipotesi di possibili messe in scena, fanno intravedere lo spettacolo attraverso la scrittura. A differenza del più tardo Menandro che monta gli effetti comici su intrecci ben congegnati tra equivoci e riconoscimenti, Aristofane, nella lettura di Lanza, scopre eredità che si radicano nelle forme di teatro più elementari, tipiche dell’oralità e dell’ “improvvisazione”, incentrate e costruite sul ruolo e sulle capacità di un primo attore eccezionale per doti e per tecnica. Un primo attore totale, a cui Aristofane affida la costruzione per connotazioni progressive degli spazi scenici in rapporto alla polis e la scansione dei tempi nel governo del lazzo comico espandibile o contraibile a seconda delle reazioni del pubblico. Un primo attore capace di abitare il crinale tra finzione e realtà, tra il personaggio e l’interprete che dà corpo al personaggio mentre lo scopre e lo espone al giudizio degli spettatori, tra invenzione e storia in corso, tra le sofisticazioni della scrittura e le arcinote, ma sempre efficaci volgarità della farsa. Via via ridimensionando con buone ragioni storiche e culturali le frequenti interpretazioni utopistiche e carnevalesche della commedia archaia, discutendo le categorie di utopia e carnevale storicamente inadeguate al pensiero antico, Lanza sposta l’attenzione sulle permanenze nella commedia aristofanea della iambikè idea con le sue invettive qui affidate a quel primo attore che, indipendentemente dai personaggi in cui si cala di commedia in commedia, ripropone costantemente il cliché dello “sciocco”. Forse comincia qui, da queste messe a fuoco dello sciocco o finto sciocco nella drammaturgia di Aristofane, l’esplorazione che porterà Lanza al saggio del 1997 dedicato a Lo stolto. L’eccentrico, l’idiota, dà ottime prove nella commedia aristofanea: affidato alla voce e ai gesti sapienti del primo attore, si ripresenta perlopiù in personaggi di vecchi scorbutici, estranei al linguaggio e al senso comune corrente nella città, in folli apparenti che in forza della loro marginalità e del loro sguardo obliquo tengono in scacco e destabilizzano il mainstream di una società in profonda crisi senza sapere di esserlo.
|