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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 490

Ercole Chiari

Kant al terzo millennio.

ISBN 978-88-7588-403-1, 2024, pp. 208, formato 140x210 mm., Euro 18 – Collana “il giogo” [196].

In copertina: Maurits Cornelis Escher, Giorno e notte, 1938.

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Dichiarazione d’intenti

La ricerca filosofica

Ci siamo permessi un titolo un po’ “gridato” (non troppo, comunque) semplicemente per segnalare che il pensiero, o meglio la posizione filosofica di Kant non è affatto superata o inattuale, anzi può fornire un punto di riferimento anche per il futuro. Un punto di riferimento, diciamo, non una dottrina definita e fissa, che Kant per primo non pretendeva di aver raggiunto, se è vero che per lui non si poteva insegnare la filosofia (una filosofia), ma solo a filosofare.

Ora, “filosofare” non vuol dire svolgere quelli che, con termine antiquato e anche un po’ antipatico, si dicono filosofemi (elucubrazioni spesso astruse e improbabili), ma un modo di affrontare i problemi cercando di capire come – cioè in base a quali condizioni – è possibile trattarli e risolverli. Il senso di questa precisazione risulterà più chiaro in seguito; per il momento, diciamo che, qualunque soluzione si tenti di sviluppare per risolvere questi problemi, deve accompagnarla la consapevolezza di quali sono i procedimenti che mettiamo in atto nello svilupparla; cioè insomma, se si vuole, un pensiero di secondo grado.

Ebbene, Kant ha esposto con precisione e in dettaglio le condizioni che a suo giudizio permettono di affrontare i problemi della conoscenza e poi anche della moralità e infine anche di altre forme di esperienza, e su questo è stato contestato da molti punti di vista. A parer nostro può effettivamente essere contestato, specie col senno del poi, cioè in base a risultati di conoscenza che ai suoi tempi non esistevano, e hanno atteso anche due secoli per essere raggiunti; sicché da questo punto di vista contestarlo è inutile e anche risibile.

Rimane il fatto, che costituisce una acquisizione difficilmente contestabile, che Kant ha ben spiegato come bisogna procedere per affrontare i problemi della conoscenza, della moralità e di altre forme di esperienza dal punto di vista filosofico; e questa, anche se si scelgono altre vie, è una conquista fondamentale, con cui bisogna fare i conti, anche se non la si ritiene insuperabile.

Anche perché, alla fine, è lo sforzo che, con presup­posti e soprattutto con linguaggi diversi, la filosofia, anzi i filosofi, hanno sempre fatto. Basti pensare a Platone e a Cartesio, per rifarci solamente al pensatore che ha fondato la filosofia, e all’altro che ha avviato il pensiero moderno (di cui Kant è la conclusione e al tempo stesso l’avvio al pensiero successivo).

Che cosa sono le mitiche idee di Platone, se non le condizioni che permettono di pensare le cose, e che come condizioni la ricerca filosofica deve tener sempre presenti nel suo procedere? È stata anche la convin­zione di Aristotele, pur con una concezione diversa del rapporto tra idee e cose. E che cosa è il metodo cartesiano, se non la ricerca delle condizioni (e sono l’evidenza, e il procedere con ordine, confermato in tutti i suoi momenti dall’evidenza) che rendono valido il pensiero? Su questa base, Spinoza e Leibniz hanno proposto un metodo di elaborazione della filosofia per definizione e deduzione; a cui gli empiristi hanno con­trapposto il metodo della costruzione dell’esperienza sulla base dei dati dei sensi.

E, per venire a un esempio più “vicino”, che cosa è la dialettica di Hegel, pur così complicata e confusa, se non l’indicazione della condizione ultima della ricerca della verità, cioè il principio che “il vero è l’intero”, e quindi la verità non è l’eterno, ma il processo? E, opposta all’ipotesi idealistica, che cosa è la distinzione di Marx tra struttura economica e sovrastruttura ideologica se non la chiave di lettura della realtà politica e sociale, che permette di distinguere falso e vero, ma anche di riconoscere nel marxismo una ideologia, e perciò stesso di superarlo come tale?

Ora, tutte queste posizioni accolgono un punto di vista che è stato di Kant (che lo ammettano o meno), o ad esso analogo, combinato con altre preoccupazioni e finalità, che possono essere di sistema o di progetto politico eccetera, e quindi per un verso possono sembrare più ricche della posizione kantiana: ma la verità è che la posizione di Kant è più essenziale, e appunto per questo può avere gli sviluppi più diversi – a patto di rispettare il principio che, pensando i singoli problemi, noi dobbiamo aver sempre e comunque presente che sono operazioni della nostra ragione, e come tali vanno chiarite, praticate e, naturalmente, anche corrette.

Come ciò si possa fare rimanendo nell’ambito dalla posizione di Kant è ciò che tenteremo di fare nel se­guito di questa presentazione.

L’indagine critica

Ciò andava detto anche – o soprattutto – per chiarire quale è l’impostazione di questa presentazione del pensiero di Kant, e segnalare i suoi limiti, anche perché l’eventuale lettore non cerchi e non si aspetti ciò che non troverà, e non rimanga deluso nelle sue attese.

In primo luogo, questa presentazione non si propone obiettivi, come si dice, scientifici, con tutti gli apparati d’uso (citazioni, note, bibliografia), né di ricostruire il pensiero di Kant geneticamente, cioè ripercorrendo le varie fasi della sua maturazione e delle formulazioni che Kant vi ha dato. Contiamo, na­turalmente, di essere precisi nel riferire quanto Kant ha pensato e affermato, e di non tradire le sue intenzioni, in ciò che è essenziale per capirlo ed apprezzarlo, e soprattutto per valutare se quanto ha detto ha ancora una risonanza e un valore.

D’altra parte, il lettore cui ci rivolgiamo non sarà uno specialista né di Kant né di storia della filosofia, e quindi non andrà in cerca di erudizione, ma cercherà di cogliere (in ciò speriamo di aiutarlo) quella che talvolta ancora si chiama “l’anima” del kantismo, tenendo presente quanto una volta ha affermato Bergson, che un filosofo in tutta la sua vita non sviluppa che un solo pensiero, in tutte le forme necessarie a dare una interpretazione della realtà.

Per fare questo, al momento ci limitiamo a dare qualche chiarimento sul termine “criticismo”, con cui di solito si indica il pensiero di Kant, il fatto cioè che egli si è proposto di fare un esame critico delle concezioni umane (non nel senso di una valutazione negativa, ma in quello di una verifica dei loro fondamenti), tenendo presenti le posizioni espresse soprattutto nel pensiero moderno, cioè, per essere concreti, dopo l’avvento della scienza moderna (iniziata con Galilei e culminata con Newton), da parte essenzialmente di due orientamenti, sviluppatisi rispettivamente nel continente e in Inghilterra, cioè il razionalismo e l’empirismo.

Senza impegnarci in una panoramica delle due posizioni, che presentano molte versioni e molte sfumature, ci limitiamo a ricordare che entrambe ritengono fonte della conoscenza l’esperienza (cioè le informazioni derivanti dai sensi, secondo la formulazione tradizionale), ma i razionalisti sostengono che un’altra fonte di conoscenza sia la ragione, e che con la ragione si possa andare al di là dei dati dei sensi, e stabilire quale sia la “vera realtà”, di cui i sensi forniscono solo delle “apparenze”, gli empiristi, invece, sostengono che l’esperienza sia l’unica fonte della conoscenza, e che la ragione abbia solo la funzione di ordinare i dati dei sensi, inquadrando l’esperienza in concetti, ma non abbia la capacità di andare al di là dell’esperienza, e di cogliere la supposta “vera realtà”.

Basti pensare ai concetti di sostanza e di causa, così presenti nei dibattiti della filosofia moderna, col sot­tinteso confronto con la scienza. Secondo i razionalisti, sostanza e causa sono realtà e leggi di natura; si ricordi per un lato Spinoza, per l’altro Leibniz; secondo gli empiristi, risultati della sistemazione dell’esperienza, e limitati ad essa; si ricordino Locke e Hume. Vedremo come li precisa Kant, che anche lui li considera le basi e i fondamenti della conoscenza e della scienza.

Ricordiamo che nelle posizioni dei due orientamenti influiscono da una parte la tradizione della filosofia, specialmente della metafisica, e per suo tramite della religione, e dall’altra parte la scienza, che per un lato è utilizzata dal razionalismo, che si richiama alla matematica, per sostenere la possibilità di una conoscenza che vada al di là dei dati dei sensi, e per l’altro è utilizzata dall’empirismo, che si richiama alle scienze della natura, e specialmente alla fisica, per sostenere che la scienza ha solo il compito di sistemare i dati dell’esperienza, confermandoli con l’esperimento e dando ad essi un ordine razionale.

Kant ha preso in considerazione questi problemi e proposto per essi una soluzione che ha avuto una enorme influenza nella storia del pensiero europeo.

L’esame che egli compie della questione è appunto il criticismo, cioè, come abbiamo detto, l’esame dei fondamenti del sapere scientifico e anche metafisico, allo scopo di stabilire che cosa in esso costituisce una conoscenza valida e che cosa invece costituisce una pretesa di conoscenza che non ha fondamenti, cioè di stabilire la possibilità e i limiti della conoscenza.

Questa formula (“la possibilità e i limiti”) è ormai diventata una espressione riassuntiva del pensiero di Kant, e segnala che i limiti sono importanti tanto quanto la possibilità (perché altrimenti si prenderebbero per buone conoscenze inconsistenti), ed anzi (almeno secondo alcuni interpreti) segnala che solo la determinazione dei limiti dà un fondamento solido alla conoscenza, evitandole di disperdersi in ricerche che non possono avere esito.

Anticipiamo qui che la possibilità, cioè una conoscenza fondata, è costituita per Kant dalla scienza (matematica e fisica), mentre i limiti sono rappresentati dalla metafisica, cioè dalla pretesa di conoscere la “vera realtà” al di là delle “apparenze” dell’esperienza. Vedremo ampiamente questa problematica; per ora ricordiamo ancora solo che l’esame critico, iniziato da Kant sulla conoscenza, è stato poi da lui esteso, per necessità interna, anche alla moralità, e infine ad altri aspetti dell’esperienza (di natura emotiva e fantastica).

In rapporto a quanto ora detto, possiamo anche richiamare quello che per Kant è l’oggetto della sua indagine, cioè la ragione; un termine complesso e non sempre precisato nei suoi aspetti. Qui possiamo solo dire (riservandoci di fare le dovute precisazioni trattando le questioni di merito), che “ragione” indica in primo luogo le facoltà conoscitive (sensi e intelletto), ma più in particolare la tendenza che spinge l’intelletto a oltrepassare i limiti dell’esperienza; indica poi anche la facoltà che guida il comportamento, e Kant chiama ragion pratica, e non è la stessa ragione che conosce, ma ne mantiene un carattere di fondo, cioè la tendenza a giungere a conclusioni “assolute”; e infine anche un territorio che per certi aspetti fuoriesce dalla ragione, ma mantiene certi rapporti con essa, ed è la capacità di cogliere nelle cose il bello e anche la finalità.

Alla fine – come si vede – l’esame di Kant concerne tutte quelle che con altro linguaggio si chiamano le facoltà dello spirito umano, e così comprende l’insieme di tutte le problematiche su cui la filosofia è portata a riflettere, e che Kant ha sintetizzato in tre domande, più una domanda riassuntiva: Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Che cos’è l’uomo? Le riprenderemo in conclusione di questa presentazione, dopo aver esaminato le diverse questioni separatamente.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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