|
Il tema dell’irrimediabile corruzione della natura umana è stato, storicamente, il principale stroma di sostegno per tutte le posizioni teoriche prevenute rispetto alla prospettiva del comunismo, alla ricerca di facili elementi di antitesi: essendo consustanziali all’uomo il peso corruttivo del peccato originale e la fragilità rispetto alle passioni tristi dell’ego e del possesso, non sarebbe lecito ipotizzare alcuna via d’uscita possibile. La teorizzazione comunista ha accettato questo luogo comune senza troppe reticenze, facendo leva non sulla natura umana, ma su speranze di progresso nella storia o nella conoscenza scientifica.
Il presente libro propone un’inversione radicale nella strategia filosofica del comunismo: il fulcro della questione è antropologico, non economico, politico o morale; la dinamica del modo di produzione resta elemento subordinato rispetto alla natura umana, che comunque ne è la matrice essenziale.
Il saggio consta di quattro parti. Nella prima viene ricostruita la nozione di natura umana in Marx e nel marxismo, e si sostiene che il marxismo ha erroneamente incorporato nella propria concezione la concezione della natura umana borghese-capitalistica di Hume, basata sulla polemica contro il giusnaturalismo ed il contrattualismo. Nella seconda viene ridiscusso analiticamente il rapporto fra comunismo e filosofia occidentale (da Aristotele ad Epicuro, da Paolo di Tarso a Spinoza, da Robespierre a Hegel). Nella terza si analizza la dialettica storica della dissoluzione della figura del «compagno», intermedia fra bourgeois e citoyen, da Engels a Lenin, da Stalin a Togliatti a Che Guevara, dalla contestazione del Sessantotto al problema degli intellettuali. Nella quarta, infine, si pongono alcune premesse per una concezione del comunismo come comunità di individualità dotate di pari libertà.
|