INTRODUZIONE
LA CATENA DEI PERCHÉ
1. Questo è un saggio comparativo e contrastivo su Marx e Nietzsche. Si tratta di autori che dispongono di una bibliografia critica gigantesca, e sui quali sarebbe incauto ed un po’ ridicolo pensare di poter dire qualcosa di veramente nuovo. Il mio scopo è allora quello di favorire una sorta di “riorientamento gestaltico” nell’abituale modo di vederli.
2. Favorire un riorientamento gestaltico su Marx e Nietzsche è un processo difficile. Ci vuole una contestualizzazione storica, e cercherò di farla, ma non è assolutamente sufficiente. Ci vuole un chiarimento sulla differenza qualitativa fra i pensieri originari di Marx e di Nietzsche ed i marxismi ed i niccianesimi posteriori, e cercherò di farlo, ma non è assolutamente sufficiente. In generale fermarsi a mezza strada è quasi peggio di non aver neppure cominciato il cammino critico. Se un cammino critico dev’essere percorso, esso dev’essere radicale. In caso contrario, tanto vale leggere qualcosa di più leggero e di meno impegnativo.
3. La prima mossa di un riorientamento gestaltico nell’approccio a Marx ed a Nietzsche è dimenticare la dicotomia Destra/Sinistra. Oggi è ormai coscienza comune che Nietzsche può essere letto sia a sinistra che a destra. Non è invece affatto coscienza comune il fatto che Marx non ha praticamente nulla a che fare con ciò che viene considerato il pensiero di “sinistra”. A suo tempo Marx fu certamente di “sinistra”, nel significato che questa parola poteva avere fra il 1840 e il 1880, ma oggi il termine “sinistra”, pur nella sua vaghezza, contiene elementi storici (l’antifascismo, la modernizzazione) e filosofici (lo storicismo, l’economicismo, eccetera) che non hanno più nulla a che vedere con la visione del mondo di Marx.
Il discorso sarebbe lungo, ma mi sembra corretto avvisare subito il lettore che chi scrive non considera affatto Marx di “sinistra”, e non pensa dunque che il futuro della sua prospettiva filosofica sia legato a qualunque progetto di ridefinizione o di ricostruzione della “sinistra”. Sono molto spiacente del fatto che quanto sto dicendo possa sembrare a qualcuno paradossale, esagerato, provocatorio, eccetera. Non mi interessa épater les bourgeois né tantomeno les proletaires, anche perché la tesi di fondo di questo saggio è che stanno ormai scomparendo entrambi nel significato ottocentesco e novecentesco del termine. Prego solo il lettore di prendere sul serio quanto sto dicendo, e di non considerarlo una bizzarra provocazione intellettuale, perché chi scrive si considera veramente fuori della topologia Destra/Centro/Sinistra.
4. È necessario dunque “riaprire la catena dei perché”. Prendo a prestito questa espressione del defunto Franco Fortini, che mi onorava della sua stima e della sua amicizia (e che non avrebbe quasi sicuramente condiviso né la lettera né lo spirito di questo saggio). Quando nel 1956 il sinedrio dei gran sacerdoti del comunismo, capitanati dal mediocre contadino ucraino Nikita Krusciov, decise di detronizzare il papa georgiano defunto Giuseppe Stalin, Franco Fortini scrisse che bisognava “riaprire la catena dei perché”, a cominciare ovviamente dai perché fondamentali rimossi, ed aprire un dibattito liberatore fra tutti coloro che praticavano il marxismo, sostenevano il socialismo e credevano nel comunismo.
Fortini si illudeva. Nessuna innovazione teorica è praticabile se il destinatario è irriformabile. Nessuna catena dei perché fu aperta. La discussione manipolata ed amministrata fu subito chiusa in modo tautologico, dicendo che il difetto dello stalinismo stava nel “culto della personalità”. Si aprì così un Circolo Tautologico Autoreferenziale, su cui il marxismo venne invitato a “pattinare” per quasi mezzo secolo, fino a quando il ghiaccio sempre più sottile si ruppe, e gli incauti pattinatori si inabissarono nell’acqua gelata.
5. Gli intellettuali marxisti portano la principale responsabilità di questa fine ridicola, perché mancarono del coraggio intellettuale e morale che a suo tempo avevano saputo avere sia Marx che Nietzsche. Il coraggio intellettuale e morale si compendia in una sola parola: libertà. Libertà significa autonomia, ed autonomia significa etimologicamente “darsi le proprie leggi” senza dipendere da altri. Gli altri erano la “base” comunista, un aggregato che voleva farsi ingannare e farsi raccontare delle storie, ed i cosiddetti “vertici” politici comunisti, un ceto professionale disincantato e deideologizzato. In linguaggio nicciano, un aggregato di eremiti ed un ceto di ultimi uomini.
6. Bisogna dunque riprovare a riaprire la catena dei perché. Questa volta, però, bisogna riaprire questa catena con un altro approccio e con altri destinatari. L’approccio dev’essere molto più radicale, e i destinatari non possono più essere i cosiddetti “militanti”, il “popolo di sinistra”, eccetera. I destinatari sono tutti coloro che vogliono riflettere e comprendere, del tutto indipendentemente da come si collocano (o non si collocano) topologicamente nel teatrino politico. Per chi scrive l’appartenenza è nulla, e la comprensione tutto. Cerchiamo allora di riaprire la catena dei perché partendo da un anello della catena che ci permetta di stringere con sicurezza qualcosa di solido.
7. Partiamo dunque da un anello. Un buon anello da cui partire è la piena consapevolezza della aleatorietà, cioè della nascita casuale della società capitalistica contemporanea. La società capitalistica contemporanea, la prima società nella storia dell’umanità la cui dinamica interna di sviluppo tende allo scioglimento di tutte le comunità preesistenti per sostituirle con un ammasso artificiale di produttori e di consumatori stressati, è un prodotto aleatorio, e dunque sostanzialmente casuale, dell’Inghilterra del Settecento. Non è affatto il prodotto finale inesorabile di una deterministica teleologia interna alla società umana. La trasformazione di una società nata in forma casuale ed aleatoria in culmine di un’evoluzione umana necessaria è l’immagine comune sia dell’economia politica inglese (Smith, Ricardo, ecc.) sia del marxismo economicistico maggioritario (in parte Marx, ma soprattutto Engels e Kautsky).
È necessario tenere bene a mente questa paroletta: immagine comune. In quanto immagine comune della parte intellettuale maggioritaria della “destra” e della “sinistra” è molto difficile provocare un riorientamento gestaltico. Infatti i sostenitori della mano invisibile del benefico mercato concorrenziale capitalistico e i sostenitori della gloriosa marcia dello sviluppo delle forze produttive, che alla fine farà saltare le contraddizioni capitalistiche, sono uniti nel vedere la società capitalistica come il coronamento finale dello sviluppo teleologico della società umana. I primi la considerano l’ultima stazione, i secondi la penultima. Una differenza politica, ma non una differenza gestaltica, che è quella che conta di più.
8. Eppure questa immagine è falsa. Nella stragrande maggioranza delle società umane che gli studi antropologici comparativi hanno diligentemente registrato e descritto, è possibile dire che il mercato (e cioè l’agorà dei greci) è sempre stato congiuntamente il luogo dello scambio delle merci ed il luogo dello scambio delle opinioni, delle credenze, dei miti, delle scoperte e delle esperienze. L’agorà ateniese era il luogo in cui si andava a vendere ed a comprare, ma era anche il luogo in cui Socrate faceva nascere la filosofia occidentale come dialogo razionale.
9. Questa feconda duplicità del mercato (scambio di merci + scambio di idee) sparisce, e viene fatta volutamente sparire, dalla società capitalistica inglese come essa si configura a partire dalla metà del Settecento europeo. Il mercato non è più un luogo relazionale di scambio fra comunità diverse, ma diventa un progetto di espansione di una società. Questo è il punto essenziale da capire. A questo mercato “espansivo” si lega ovviamente la dinamica produttiva innescata dalla prima rivoluzione industriale. Il mercato non è comunque più una agorà in cui si va per comprare ma anche per parlare ed ascoltare, ma è un market in cui si realizza semplicemente il cosiddetto valore di scambio delle merci.
10. Secondo l’impostazione dell’economia politica inglese, che Marx poi sostanzialmente recepì, il valore di scambio di una merce è identico al tempo di lavoro sociale medio contenuto in essa. La società capitalistica inglese si pensa fondata da una sorta di “lavoro” primitivo ed originario, ed infatti Marx utilizzò il termine di “robinsonismo” ricavato da Robinson Crusoé. John Loche, un uomo che aveva una cointeressenza nel traffico degli schiavi fra l’Africa e l’America (fatto sempre pudicamente taciuto dalla apologetica liberale), mise il lavoro alla base non solo del diritto alla proprietà privata, ma anche del diritto all’accumulazione di capitale potenzialmente illimitata (denaro che crea denaro).
11. Questo circolo vizioso (o virtuoso se lo si vede da un altro punto vista) di commercio triangolare schiavistico e di superamento dei rapporti di produzione interni feudali e signorili portò infine a metà Settecento alla nascita di una società capitalistica storicamente inedita. Lo ripetiamo. Questa società è nata da un insieme casuale di eventi. Questa società è del tutto aleatoria. Questa società non è per nulla il coronamento teleologico necessario dell’avventura umana.
12. La soggettività storica che viene legata alla formazione ed allo sviluppo della società capitalistica è stata chiamata Borghesia. Con questo termine, tuttavia, non viene connotata una soggettività unica e singolare, anche se collettiva, ma viene connotata una doppia soggettività dialetticamente interconnessa. Da un lato, una soggettività economica, che coincide con le strategie complessive della riproduzione capitalistica, che ha come finalità interna anonima ed impersonale (e dunque in un certo senso “destinale”) l’allargamento della forma di merce a tutti gli ambiti della vita individuale e sociale. Dall’altro lato, una soggettività culturale, che tende ad una forma di universalizzazione potenzialmente comunitaria (o neocomunitaria) di una nuova forma di vita associata sorta sul superamento dei rapporti sociali asiatici, feudali e signorili.
13. L’intreccio fra le due varianti della soggettività borghese (economica e culturale) ha determinato la storia degli tre secoli prima in Europa e poi nel mondo. È bene insistere su questo intreccio, perché è proprio da questo intreccio contraddittorio che è sorto lo scenario politico ed ideologico cui siamo abituati. Quando parliamo di filosofia “borghese” (Spinoza, Kant, Hegel, eccetera) o di grande letteratura “borghese” (Goethe, Dickens, Flaubert, Tolstoj, Kafka, ecc.) alludiamo a qualcosa di ben distinto dalla semplice riproduzione capitalistica allargata.
14. Che cosa caratterizza in ultima istanza l’identità culturale borghese? Si tratta di una domanda cruciale. L’identità culturale borghese non può identificarsi con la semplice apologetica capitalistica, perché la sua stessa tendenza a criticare i fondamenti religiosi delle società feudali e signorili la porta irresistibilmente a concepire forme di universalismo potenzialmente egualitario. Nello stesso tempo, l’identità culturale borghese percepisce la dissoluzione delle comunità subalterne come irreversibile, anche se ne è spesso attratta dagli elementi solidaristici contenuti in esse (populismo russo, terzomondismo, ecc.).
Qui nasce quella specifica “coscienza infelice” borghese che è la principale matrice storica e filosofica della protesta contro il capitalismo e nello stesso tempo della denuncia contro l’ipocrisia. Marx e Nietzsche sono integralmente prodotti della dialettica interna della coscienza infelice borghese.
15. Lo sviluppo sistemico del capitalismo comporta necessariamente la dissoluzione delle precedenti comunità subalterne contadine ed artigiane. Nel corso dei secoli (e talvolta dei millenni) queste comunità avevano sviluppato forme ricche ed elaborate di cultura identitaria, ma avevano sempre rinunciato alla “universalizzazione” di queste forme culturali, ed in ciò stava appunto la loro forza (di resistenza) e la loro debolezza (di egemonia complessiva). Con la progressiva penetrazione del capitalismo queste comunità subalterne sono messe in grave difficoltà, perché mentre le precedenti forme di potere classista si accontentavano della loro subalternità ma non miravano alla loro dissoluzione i nuovi rapporti sociali di produzione “totalitari” tendono proprio alla loro dissoluzione.
16. Se la dialettica della classe borghese è costituita dalla storia della sua duplicità (classe economica e classe culturale) la dialettica della trasformazione delle comunità subalterne è anch’essa caratterizzata da una duplicità. Sul piano politico le comunità subalterne si ridefiniscono come Popolo, e sul piano economico si definiscono come Proletariato. Le loro culture solidaristiche si organizzano politicamente sul terreno della democrazia e del suffragio universale, e si organizzano economicamente sul terreno della resistenza sindacale (trade unions, sindacati socialdemocratici). Il terreno mutualistico e cooperativistico, lungi dall’essere un terreno arretrato (come sosterrà poi il marxismo economicistico), è in realtà il terreno più avanzato possibile per chi intende mantenere la sua identità solidaristica precedente.
17. Il dramma delle classi subalterne e delle comunità in dissoluzione sta nel non riuscire a produrre un profilo complessivo (economico e culturale) realmente alternativo a quello borghese e capitalistico. I comportamenti antagonistici della classe operaia sono sistematicamente legati alle prime fasi storiche della sua incorporazione nel sistema di fabbrica, poi giunge quasi fatalmente la progressiva integrazione. Il processo reale è invertito rispetto alla rappresentazione ideologica falsata che ne dà la vulgata dell’economicismo marxista. Le classi operaie hanno comportamenti “rivoluzionari” nelle primissime fasi dell’incorporazione delle comunità subalterne nel sistema di fabbrica, e poi passano sistematicamente a comportamenti “riformisti”, cioè di piena integrazione.
18. Si ha dunque una generalizzata “economicizzazione del conflitto”. Il conflitto sindacale e politico resta, ed anzi addirittura sembra crescere, ma cresce ormai sulla base della accettazione strategica del quadro di comportamenti e di consumi della società capitalistica. Ma l’economicizzazione del conflitto ha una dinamica integrativa convergente con la dinamica interna al capitalismo, fondata sulla generalizzazione della forma di merce anche ad ambiti della vita individuale ed associata cui prima era estranea.
19. Il pensiero di Marx ha come matrice fondamentale la dinamica della coscienza infelice della cultura borghese (percezione dell’alienazione, antropologia della libera individualità, sistematizzazione categoriale scientifica di una teoria della storia). Il marxismo successivo (più esattamente i marxismi successivi) rappresenta invece l’incontro storico fra questa dinamica autonoma della coscienza infelice della cultura borghese (prima illuministica e poi romantica) e l’autonoma committenza ideologica richiesta politicamente dal popolo ed economicamente dal proletariato. Non ha dunque senso condannare il marxismo successivo come “fraintendimento” del pensiero puro di Marx. Nessun fraintendimento. Engels fu il Paolo di Tarso del marxismo.
20. Il pensiero di Nietzsche ha invece come matrice fondamentale la percezione acuta dell’ipocrisia con cui il pensiero “borghese” stava assestandosi nella seconda metà dell’Ottocento. Tuttavia il successo costante e permanente di Nietzsche, che va molto al di là della congiuntura dell’ultimo trentennio dell’Ottocento, ci segnala che Nietzsche è un pensatore epocale e no congiunturale (come Marx, del resto). L’ipocrisia è infatti un carattere permanente dell’immagine borghese del mondo, che finge di avere profonde riserve verso lo sviluppo disumano del capitalismo e poi gli si accoda sempre sistematicamente.
21. All’epoca dell’economicizzazione del conflitto segue fra il 1870 ed il 1914 l’epoca della cosiddetta nazionalizzazione delle masse, che vengono incorporate nel proprio stato nazionale attraverso meccanismi che le separano definitivamente dalle loro precedenti culture comunitarie (alfabetizzazione di massa, servizio militare obbligatorio, assicurazioni sociali, suffragio universale, eccetera). A questo punto, lo scenario storico muta radicalmente.
22. Gli anni dal 1917 al 1945 sono stati definiti della “guerra civile europea” (Nolte) e gli anni dal 1945 al 1975 i “trent’anni gloriosi” (Hobsbawm). Più in generale, il cosiddetto “secolo breve” è stato identificato con il secolo della nascita, sviluppo, tramonto e dissoluzione del comunismo storico novecentesco (1917-1991), da distinguere accuratamente dal comunismo di Marx. L’attuale tendenza a liquidare il Novecento come secolo cattivo, secolo ideologizzato, secolo delle idee assassine, secolo di Hitler e di Stalin, eccetera, deve essere investigata con attenzione, perché a mio avviso in questa “furia liquidatrice” si nasconde il cuore della questione.
23. Da un punto di vista di longue durée secolare di storia del capitalismo il cuore del Novecento, indipendentemente dalle sue varianti diverse ed antagonistiche (comunismo, nazismo, welfare state, movimenti anticoloniali, ecc.), appare come una battuta d’arresto nel processo di mercantilizzazione integrale e di mercificazione globale di tutti i rapporti sociali. Che questa battuta d’arresto abbia potuto prendere visi diversi, da Hitler a Mussolini, da Stalin a Mao, da Nasser a Nehru, eccetera, è certo molto importane e storicamente decisivo, ma da un punto di vista di storia del capitalismo “globale” (e cioè mondializzato geograficamente ed approfondito socialmente) appare scandalosamente secondario. Lungi da me l’intenzione sciagurata di fare una notte in cui tutte le vacche sono nere, ed in cui venissero aboliti tutti i criteri per distinguere il comunismo, il socialismo, il fascismo, il nazismo ed i movimenti populisti del cosiddetto “terzo mondo” (peronismo, nasserismo, partito baath panarabo, eccetera). Il mestiere dello storico è quello di distinguere, ed è corretto distinguere. Ma è anche legittimo, se ci si mette in un’ottica di doloroso riorientamento gestaltico, far notare che le varie forme di statalismo, di partitismo, di economia mista, eccetera, che sono fiorite nel Secolo Breve sono anche state una battuta d’arresto, o quanto meno un rallentamento, dello sviluppo di un capitalismo sempre più puro e sempre più rivolto a dissolvere ogni tipo di comunità sociale o politica in qualche modo ostile alla mercantilizzazione integrale della società. Questo processo ricomincia a rimettersi in movimento verso la metà degli anni Settanta. Vi sono innumerevoli colpi di coda (dal fascismo in Cile al comunismo in Etiopia), e fatti che sembravano andare in direzione opposta. Ma dopo il 1975 la tendenza appare chiara: il capitalismo tende a liquidare progressivamente i suoi “margini” fascisti e comunisti, dalla Spagna franchista all’URSS gorbacioviana. La stessa recentissima guerra contro l’Iraq (2003) è stata fatta in nome della democrazia (e cioè del capitalismo incontrollato e non mediato da apparati politico-ideologici) contro un regime di partito unico (il Baath iracheno) che presentava elementi di ascendenza sia fascista che comunista (ed uso questi termini in modo del tutto “descrittivo” e per nulla polemico).
24. La teoria che qui propongo del cosiddetto Secolo Breve come battuta d’arresto nel processo storico di graduale “purificazione” del capitalismo dei suoi residui non-economici o extra-economici è ovviamente un’ipotesi storiografica. In quanto tale, non è perfetta, non è conclusiva, e può tranquillamente essere sbagliata. Però non lo credo. E se non è sbagliata, ma coglie in una certa misura (sia pure parziale) uno sviluppo reale, allora cade ogni fondamento per la classificazione dicotomica Destra/Sinistra, almeno per lo scenario presente e futuro (prossimo). All’interno del Secolo Breve, invece, la dicotomia fu reale perché si scontrarono due diverse strategie sociali, politiche e culturali volte entrambe a rallentare o a invertire la tendenza irresistibile della produzione capitalistica. Una tendenza fece leva sulla piccola borghesia, e fu prevalentemente di destra. Un’altra tendenza fece leva sulle classi popolari, operaie e proletarie, e fu prevalentemente di sinistra. Ovviamente questa dicotomia “pura” fu quasi solo europea, perché fuori dall’Europa si presentò in forma fisiologicamente “mista” (peronismo argentino, baathismo arabo, eccetera).
Se assumiamo come ipotesi storiografica quella della battuta d’arresto del processo di mercantilizzazione integrale del capitalismo, bisogna cominciare ad esaminare gli aspetti economici, sociologici, politici e soprattutto culturali. In questa introduzione mi limiterò ovviamente ad alcune ipotesi largamente preliminari.
25. Dal punto di vista economico, si è verificato quel processo di concentrazione dei capitali già previsto da alcuni classici del marxismo (come Hilferding), che ha infine dato luogo non tanto a delle “transnazionali” (supposte come prive di insediamento territoriale nazionale e statuale) quanto a delle “multinazionali” (che conservano l’insediamento nazionale e statuale). Non si è invece verificato quel processo definito dai marxisti “proletarizzazione delle classi medie”, in quanto questo processo sarebbe stato pericolosissimo per il funzionamento riproduttivo complessivo del sistema capitalistico. Il malcontento delle classi medie è infatti molto più pericoloso per la riproduzione capitalistica di quanto lo sia il malcontento delle classi popolari propriamente dette (è questo un punto che l’economicismo populistico marxista non capisce e non capirà mai).
Si è però attuata una grande finanziarizzazione del capitale. Ma questo non ha tanto creato un capitale “parassitario” (i famosi tagliatori di cedole che vivono in decadenti stravizi), quanto un capitale agile e flessibile, che si sposta geograficamente “in tempo reale”. Come è noto, il capitale finanziario rappresenta storicamente una fusione fra capitale industriale e capitale bancario. Esso non tende a distruggere la piccola e media produzione capitalistica, ma di fatto ne determina gli orientamenti strategici.
26. Dal punto di vista sociologico lo sviluppo capitalistico tende a sciogliere e ad assorbire in nuove formazioni sociali le vecchie classi costitutive della sua società, e cioè la borghesia, il popolo e il proletariato. Il nuovo capitalismo che sta emergendo dopo la parentesi della battuta d’arresto novecentesca è in larga misura postborghese, postpopolare e postproletario. L’oligarchia finanziaria multinazionale odierna non è più la vecchia “alta borghesia”, avendo metabolizzato nei suoi comportamenti sociali alcune caratteristiche pienamente “democratiche” (nel senso di Tocqueville, non certo in quello di Rousseau e di Marx). È consigliabile su questo punto la lettura dei rotocalchi popolari, dei giornali femminili e soprattutto delle riviste in cui l’oligarchia si autorappresenta (come Fortune, ecc.). Qui c’è denaro puro, e non c’è più nessuna traccia del vecchio ethos borghese. La nuova classe media globale non è più la vecchia piccola e media borghesia, e non può più essere fotografata in termini di progressismo o di conservatorismo, religione o laicismo, destra o sinistra. Essa si relaziona direttamente al consumo, e si differenzia per diversi stili e diverse nicchie di consumo. La nuova plebe flessibile, che ha sostituito le vecchie figure politiche del popolo ed economiche del proletariato, è l’oggetto sistematico e capillare di strategie di manipolazione, soprattutto televisiva ma non solo, il cui scopo è l’annullamento di qualsiasi residua autonomia comunitaria.
Oligarchia finanziaria multinazionale, classe media globale e plebe flessibile sono le nuove classi che richiedono nuovi approcci e nuove classificazioni, che tardano appunto perché c’è stato un blocco trentennale nella percezione delle novità storiche.
27. Da un punto di vista politico lo svuotamento sistematicamente perseguito della sovranità della decisione politica è sotto gli occhi di tutti, ed è curioso il fatto che non venga neppure negato. Il concetto cardine della nuova politologia non è più “rappresentanza”, ma “governabilità”. E non potrebbe essere diversamente. Se infatti i sistemi politici fossero ancora “rappresentativi” nel senso etimologico della parola, cioè rappresentassero interessi individuali e collettivi strutturati ed organizzati, continuerebbe sicuramente la battuta d’arresto novecentesca di cui si è prima parlato. La gente potrà anche essere frammentata, stupida e disorganizzata, ma nessuno è suicida e tutti hanno un istintivo riflesso di autoconservazione. La mercantilizzazione integrale di tutti i rapporti sociali implica infatti l’indebolimento dei sistemi di protezione sociale (le pensioni e la sanità in primo luogo, ma non solo) in vista di un’ideale assicurazione individuale integrale addirittura pre-bismarckiana ( nel senso delle leggi sociali di Bismarck). Nessun corpo elettorale sovrano voterebbe per il proprio suicidio. Bisogna dunque attivare meccanismi di emergenza (invecchiamento della popolazione, concorrenza industriale dei poveracci del terzo mondo, ecc.), che rendono possibile un fenomeno storicamente nuovo e culturalmente paradossale (nel senso di Kafka e di Orwell), e cioè il suicidio volontario degli elettorati.
28. Da un punto di vista culturale il fenomeno di cui stiamo parlando presenta molti aspetti, e sarà dunque opportuno esaminarli separatamente.
29. Il crollo del vecchio ethos borghese, che non era tanto repressivo quanto autorepressivo (ascetismo calvinista, ecc.), essendo legato al risparmio per l’accumulazione e non al consumo per l’esibizione signorile, si è consumato in questi ultimi decenni con comportamenti massicci di liberalizzazione del costume largamente anticipati dalle avanguardie della bohéme di “sinistra”. Il Famoso Sessantotto è stato in proposito esemplare: in superficie, gesticolazione trotzkisteggiante; in profondità, capillare distruzione dei residui dell’ethos paternalistico borghese in direzione di un supermercato individualistico di comportamenti postborghesi ed ultracapitalistici. Solo una cultura conservatrice, identitaria ed arretrata come quella della “sinistra” poteva non capire la dinamica profonda di un fenomeno che pure sarebbe stato pienamente comprensibile sia da Nietzsche che soprattutto da Marx.
30. La dinamica culturale di un capitalismo postborghese è ovviamente legata alla distruzione della storicità, cioè di una delle principali caratteristiche della coscienza borghese originaria, che aveva dovuto battersi contro le fondazioni religiose astoriche delle società feudali e signorili. Il cosiddetto ritorno alla fondazione religiosa dell’impero americano (Bush, ecc.) non è che una specificazione secondaria. In estrema sintesi, il fenomeno del comunismo storico novecentesco è ridotto alla dittatura di Stalin, mentre ogni nuovo nemico viene immediatamente hitlerizzato (Milosevich= Hitler, Saddam=Hitler, ecc.), con il coro di accompagnamento che invoca nuovi tribunali internazionali (per gli sconfitti, ovviamente). In Italia, più ancora che in altri paesi, domina la cultura servile del correre in aiuto al vincitore (processiamo Milosevich, processiamo Saddam).
Gli aspetti tragicomici o francamente comici non devono però farci dimenticare il carattere tragico della destoricizzazione della cultura. Il mondo antico è già diventato un deposito hollywoodiano di cartoni animati. Come si è detto ripetutamente, la cultura ultracapitalistica si vendica con la battuta d’arresto novecentesca con la riduzione dell’intero Novecento ad Auschwitz. Ed io credo che il peggio debba ancora arrivare.
31. Nel nuovo impero americano ad egemonia postborghese ed ultracapitalistica la filosofia non può avere più nessuna funzione. La filosofia infatti ha una natura dialogica e razionalistica che presuppone l’uguaglianza iniziale fra gli interlocutori ed il fatto che non può essere deciso a priori prima del dialogo chi riuscirà a proporre una migliore prospettiva veritativa. Ma il nuovo impero americano ha una funzione religiosa ed astorica, e dunque la filosofia non può avere nessuno spazio.
Al posto della filosofia può riproporsi la retorica. Ed infatti i manuali di corretta argomentazione stanno silenziosamente sostituendo i manuali di storia della filosofia di impianto hegeliano. La filosofia analitica, che ha come oggetto l’uso del linguaggio nei vari contesti situazionali, sta sostituendo una tradizione filosofica millenaria a pretesa veritativa. Questa tradizione viene bollata con lo sprezzante termine di “continentale”, ed è così assimilata alle rane che mangiano i francesi, ai crauti che mangiano i tedeschi ed agli spiedini che mangiano i greci.
Chi si fa pecora il lupo se lo mangia. Chi non resiste merita di essere fatto schiavo. Questo è lo scenario dei tempi che verranno. Altro che la solita rappresentazione dello scontro fra Destra e Sinistra.
32. In questa introduzione si è disegnato sommariamente lo scenario in cui periodizzare ed infine situare la lettura di Marx e di Nietzsche. La periodizzazione viene proposta in quattro capitoli successivi indipendenti. Ognuno di questi quattro capitoli si fonda su di una ipotesi storiografica. Al lettore non viene mai imposto di “prendere o lasciare”, ma gli viene sempre proposta una chiave di lettura facoltativa.
Se è vero infatti (ed è un’ipotesi) che ci troviamo in una situazione imperiale ed in un contesto postborghese e postproletario, allora è evidente che il modo di leggere Marx e Nietzsche non può più essere quello di prima. Del resto, è noto che Platone ed Aristotele non poterono più esser letti. Prima ci fu il tardo impero romano e poi la società medievale cristiana e musulmana. Platone ed Aristotele sarebbero caduti dalle nuvole se avessero potuto sapere che cosa dicevano di loro e come li interpretavano Plotino e Tommaso d’Aquino.
Dopo un secolo di economicismo, non possiamo decentemente continuare a definire “borghesia” il semplice insieme numerico di tutti i proprietari privati dei mezzi di produzione e “proletariato” il mero insieme statistico di coloro che vendono la propria forza-lavoro. Non sarebbe tuttavia saggio a proposito di Marx e del marxismo buttare via il bambino con l’acqua sporca. La riconversione della stragrande maggioranza degli intellettuali presunti “marxisti” del ventennio 1980-2000 in apologeti modernizzatori dell’impero americano come succedaneo di una nuova pax romana armata di missili non è stata un fenomeno filosofico, ma solo sociologico. Il bambino se ne era andato da tempo, e restava solo l’acqua sporca. Fu dunque solo l’acqua sporca ad essere buttata via.
In quanto classici, Marx e Nietzsche possono avere solo tramonti temporanei, ed è possibile che abbiano revival di tanto in tanto. La macchina universitaria funziona proprio con il carburante delle riscoperte e dei ritorni, perché fa leva sulla mancanza di memoria storica, più precisamente dell’interruzione della memoria storica nella comunicazione fra generazioni. Ma questo saggio, esplicitamente non-identitario, è del tutto “gratuito”, perché si rivolge esclusivamente a chi ha la passione gratuita del comprendere.