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Cat.n. 038

Carlo Carrara

La domanda del senso. Per una filosofia del “ri-trovamento” [Introduzione di Massimo Bontempelli. In appendice scritti di: Walter Kasper, Dario Antiseri, Luigi Giussani, Abraham J. Heschel, Juan Alfaro, Norbert Fischer, Bernhard Welte, Karl Rahner, Armando Rigobello, Günther Anders, Wolfhart Pannenberg, Norberto Bobbio].

ISBN 88-87296-74-X, 2000, pp. 176, formato 140x225 mm, Euro 10,00 – Collana “La ziqqurat” [3].

In copertina: Giorgio de Chirico, Il grande metafisico, (1917). Museo d’Arte Moderna di New York.

indice - presentazione - autore - sintesi

10,00

Il titolo di questo bel libro di Carlo Carrara, La domanda del senso, non è affatto una semplice enunciazione suggestiva volta a richiamare l’attenzione del pubblico, ma esprime l’effettivo contenuto che il lettore può ritrovare nelle sue pagine.

 

Tutto il ragionamento svolto dall’autore, con una severa densità concettuale che ha particolare valore in quest’epoca di discorsi disarticolati, estrinseci ed inessenziali, si dipana infatti attorno alla nozione di senso, ed al carattere costitutivamente umano della domanda di esso.

Il punto di partenza è il valore semantico, dato dalla sua origine giudaico-cristiana, del termine senso. La sua polivalenza concettuale viene ricondotta, attraverso una serie di passaggi di grande interesse filosofico, alla richiesta di un orizzonte di senso come istanza determinativa della dimensione umana.

Ma se la domanda di senso è così peculiarmente umana, a che vale riflettere sulla nozione di senso?

Si può rispondere che questa riflessione è oggi della massima importanza, perché la società nella quale viviamo tende ad abolire qualsiasi forma ontologica di pensiero.

 

Il Carrara lo sa molto bene, e per questo ci conduce, a partire dal capitolo quinto, nella problematica della perdita della domanda di senso prodotta dal nichilismo contemporaneo.

Attraverso il riferimento ad una serie di autori che, da Wittgenstein fino a Galimberti, esprimono nel loro pensiero l’esito nichilistico della modernità, egli ci mostra come la categoria stessa di senso sia stata abolita, e sostituita dall’insensatezza di un interesse puramente pragmatico al mondo.

L’uomo contemporaneo, osserva acutamente il Carrara, non sente neanche la necessità di enunciare la scomparsa del senso della sua vita, tanto la presuppone come ovvia e la copre con le sue preoccupazioni quotidiane.

Ciò che orienta tutto il discorso del Carrara è la definizione heideggeriana dell’uomo come colui che indica ciò che si sottrae, cioé appunto il senso dell’essere. Di qui la sua concezione del senso come mistero avvolgente, che lo porta a focalizzare il suo pensiero esclusivamente sul senso come oggetto di una domanda perennemente inevasa.

 

Occorrerebbe discutere se questa prospettiva non sia involontariamente solidale con il nichilismo cui intende sottrarsi, e se non sia filosoficamente necessario, per ristabilire una forma di pensiero ontologico, dissolvere l’idea del mistero, contrappunto religioso al relativismo laico, e spostare l’attenzione sulle possibili risposte alla domanda di senso.

 

Massimo Bontempelli

 

 

 

 

*********************

 

 

Il senso della domnda del senso

 

 

«Qual è il senso della nostra vita, qual è il senso di tutti gli esseri viventi in genere? Dare una risposta a questa domanda significa essere religiosi. Tu chiedi: ha assolutamente senso porre questa domanda? Io rispondo: chi percepisce la propria vita e la vita dei suoi simili come priva di senso, non solo è infelice, ma non è affatto in grado di vivere».

Albert Einstein

 

 

 

Martin Heidegger, in Che cosa significa pensare?, ricordando un verso del poeta Friedrich Hölderlin:

 

Un segno noi siamo, che nulla indica,

 

osserva che l’uomo «è in sé un indicare verso ciò che si sottrae», «l’uomo è colui che indica». «L’uomo non è qui anzitutto uomo e in secondo luogo anche, e magari occasionalmente, uno che indica, ma: tratto verso ciò che si sottrae, in marcia verso di esso e in tal modo colui che indica il sottrarsi, solo così l’uomo è uomo. La sua essenza risiede nell’essere un tale indice»;1 la sua l’essenza consiste nell’essere fondamentalmente «domanda», e perciò «indice» o «cifra» di ciò che assolutamente lo oltrepassa.2

Norbert Fischer, in L’uomo alla ricerca di Dio, rimarcando la naturale disposizione metafisica dell’uomo alla ricerca della verità incondizionata, sottolinea che questa verità necessita, «[…] a causa della povertà del suo contenuto, di un compimento, cui essa può certo avvicinarsi, senza tuttavia poterlo mai raggiungere con le sue sole forze, poiché origine, essere e senso del tutto restano essenzialmente al di là di ogni possibilità del pensiero e dell’agire finiti».3 Del resto, ciò che caratterizza l’uomo non è soltanto la sua capacità di elaborare teorie, pensieri, domande e spiegazioni sulla totalità della realtà, ma è anche il fatto di essere sempre costretto a riconoscere che esistono questioni inspiegabili e irrisolvibili, che continuamente lo oltrepassano e lo superano: questioni perennemente irraggiungibili e soltanto perennemente avvicinabili.

Karl Rahner, in Corso fondamentale sulla fede, considerando l’orizzonte infinito dell’interrogazione umana, evidenzia che l’uomo è l’essere della trascendenza nel mistero, «[…] cioè quell’esistente a cui l’infinità non disponibile e silente della realtà si presenta continuamente come mistero. In tal modo l’uomo viene trasformato nella pura apertura verso questo mistero e posto precisamente così come persona e soggetto di fronte a se stesso».4

Béla Weissmahr, in Teologia filosofica, ponendo l’accento sull’importanza fondamentale delle domande ultime, puntualizza che tali domande non sono soltanto l’espressione di una specifica curiosità teoretica dell’uomo, ma bensì domande che cercano soprattutto una spiegazione della stessa esistenza umana: «L’uomo vorrebbe sapere qual è il significato del tutto in cui si sente una parte, perché solo così può rispondere alla questione del senso della sua vita».5

A queste prime verità ontologico-esistenziali, succintamente evocate, di contro risponde l’odierna realtà del loro essere offuscate e obliate dalla situazione propria di un uomo contemporaneo sempre più alla mercé di un’età del nichilismo, della secolarizzazione e dell’apparato tecnico, che in vari modi non solo lo allontana e lo separa dalle esperienze essenziali della trascendenza, del mistero e del senso, ma che sempre più lo desertifica interiormente e lo cosifica esteriormente.

Non è la campana del non-senso a suonare a lutto e a suonare a festa, rispettando il volere nero e il volere bianco di un uomo che volendoli entrambi non sa nemmeno più che cosa volere? Non è il vento dell’incredulità a spegnere ogni autentico ardore per la vita e la luce della speranza? Non è l’insipida indifferenza nei confronti di tutto ciò che sa di religioso a togliere il sapore della ricerca del senso? Non è il riflesso dell’oro di latta dei gioiellini tecnologici ad accecare l’uomo, che ascolta e che segue ciò che si ascolta e si segue? Perché, l’uomo non è forse ridotto ad essere un mezzo tra i mezzi, una cosa tra le cose, un numero tra i numeri? Non è così ben costruito, meccanizzato e manovrato, da sembrare tutto fuorché un uomo? Non è un oggetto buttato dal finestrino ai primi segnali di inefficienza e di inutilità? Non è così affaccendato da non affaccendarsi mai con il suo proprio io interiore? Non è così lontano dalla domanda e dal problema del senso da essere così vicino, quasi un tutt’uno, con l’effettiva insensatezza?

Domande e considerazioni che potrebbero anche far aprire gli occhi e la mente ad un uomo disabituato a pensare e a rientrare in se stesso, ad un uomo generalmente disinteressato a qualsiasi questione religiosa o metafisica che sia, tuttavia, è un fatto del tutto manifesto che il più delle volte sono soltanto le situazioni-limite o particolari le uniche in grado di mettere a nudo, nell’intimo umano, le alienazioni, le contraddizioni, le insoddisfazioni, le domande ultime.

«Affrontare l’anima – scrive Abraham J. Heschel – è uno smascheramento intellettuale che trascina la mente a interrogativi senza fine, le cui risposte non sono facili. L’uomo moderno crede, perciò, che la sua sicurezza consista nel non sollevare simili problemi. Gli interrogativi ultimi sono divenuti l’oggetto preferito del suo disinteresse. Visto che il dedicarsi a materie tangibili è altamente redditizio, non lo interessa l’attenzione per le questioni imponderabili e preferisce erigere una torre di Babele sulla ristretta base di un più profondo disinteresse.

Il disinteresse per il problema ultimo è possibile finché l’uomo trova la sua tranquillità dedicandosi a obiettivi parziali. Quando però la torre comincia a vacillare, quando la morte spazza via quello che era sembrato potente e indipendente, quando nei giorni sinistri le delizie della lotta cedono il posto all’incubo della futilità, allora egli diventa consapevole del pericolo inerente all’evasione, del vuoto che sta alla base degli obiettivi ristretti. Il suo timore di avere sperperato nel gioco la vita, guadagnando poco, spalanca la sua anima agli interrogativi che aveva cercato di evitare».6

Alla luce di questa realtà, il ritorno agli interrogativi ultimi, e in modo particolare alla domanda del senso della vita, che in sé li riassume tutti, non trova il suo senso nel riavvicinare l’uomo a se stesso e alla sua situazione esistenziale? Non rappresenta in un certo modo la messa in discussione dell’inautentico esistere umano e del mondo contemporaneo in genere? La domanda del senso non restituisce l’uomo all’uomo, interpellandolo radicalmente e totalmente nella sua intelligenza e nella sua libertà? La domanda del senso non ristabilisce la sincerità dell’uomo verso se stesso, l’accettazione di sé, la prospettiva per un’operatività sociale più umana e più solidale? Non si tratta della domanda, e non di una fra le tante, che tocca l’uomo in tutti gli aspetti della sua vita: dalle conoscenze alle decisioni, dai progetti alle realizzazioni, dalle azioni alle relazioni? Per questi motivi, e sicuramente per altri, la domanda del senso non è dunque una domanda significativa?

Nella significatività accertata di tale domanda, sorge un ulteriore e centrale interrogativo, che Juan Alfaro propone in questi termini, argomentandone la risposta: «[…] è l’uomo che porta il problema del senso, o ne è portato? È il questionante oppure il questionato? Se il problema del senso ultimo è apriori [struttura ontologica permanentemente presente nell’atto stesso di esistere], cioè se l’uomo esiste come interpellato da esso, bisogna dire che l’uomo è l’«essere questionato» in modo radicale e totale dal problema che egli stesso è per sé. Si mostra così che l’esistenza umana non è autofondante, ma essenzialmente rimandata verso un oltre rispetto a sé; non potrà trovare in se stessa la risposta ultima alla domanda che la costitui-sce» .7

Con quest’ultima considerazione, il discorso ritorna inevitabilmente agli enunciati fatti in via preliminare, che nel prosieguo di questo lavoro verranno ampiamente esaminati e integrati.

Per essere più precisi, il sentiero qui percorso, muovendo i primi passi verso la necessaria chiarificazione della semantica e della polivalenza del termine «senso», seguirà la via del senso come domanda radicale, per poi proseguire sulla via del senso come problema fondamentale, per raggiungere il senso come mistero avvolgente. Tre vie con un unico intento: ri-passare la struttura ontologico-esistenziale ultima umana. Riallacciandosi poi alla situazione propria dell’uomo contemporaneo, il cammino ripercorrerà le tappe della perdita della domanda del senso, per arrivare alla mancanza del senso e all’insensatezza effettiva dominante. Tre vie con un unico intento: ri-levare l’odierna condizione umana. Gli ultimi passi volgeranno verso la ri-cerca responsabile del senso ultimo da parte di ogni singolo uomo, con la ri-pro-posta della domanda del senso, per un «ri-trovamento» di quanto di più umano vi sia nell’uomo.

Infine, alcuni approfondimenti di noti e attuali studiosi, ricondurranno a ripercorre in modo più particolareggiato i diversi aspetti della questione esaminata.

 

Carlo Carrara



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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