Questo testo si pone come la conclusione ideale, già allora annunciata, della nostra trilogia sull’umanesimo greco: L’umanesimo della antica filosofia greca (2007), L’umanesimo di Platone (2007) e L’umanesimo di Aristotele (2008)1. Plotino, pur vivendo circa sei secoli dopo Aristotele, e pur essendo inserito nel contesto imperiale romano, rappresenta infatti l’ultimo grande esponente dell’antichità non cristiana esplicitamente richiamantesi al pensiero metafisico greco, ed in particolare al pensiero platonico.
L’umanesimo di Plotino fu però assai differente rispetto a quello di Platone, e più in generale rispetto a quello classico. Anche per questo abbiamo deciso di scrivere quest’opera sul pensiero plotiniano.
In linea generale, è possibile sin da questa introduzione rimarcare come nel pensiero classico furono centrali i contenuti politico-sociali, mentre essi furono assai poco presenti nell’opera di Plotino. Ciò accadde non per caso. Analizzando infatti i modi di produzione sociali sottostanti al pensiero filosofico che, passando da Aristotele agli Stoici, agli Epicurei, agli Scettici, ai Latini ed ai Cristiani, è giunto sino alla trascendente metafisica di Plotino, sarà possibile comprendere come la evoluzione (o involuzione?) del modo di produzione sociale avvenuta durante questi secoli, abbia avuto tanta importanza nella evoluzione (o involuzione?) del corrispondente pensiero filosofico. Tale analisi è solitamente assente dagli studi sui Neoplatonici, così come in generale dagli studi sul pensiero filosofico antico (e sul pensiero filosofico in generale). Ciò nonostante, riteniamo che senza una ampia visione di insieme non solo filosofica, ma anche storico-economico-politico-sociale (dimensioni considerabili unitariamente nell’antico modo di produzione), non si possa cogliere l’essenza di un pensiero filosofico, tanto più di un pensiero complesso quale quello di Plotino.
Platone, come noto, si approcciò alla totalità sociale filocrematistica del proprio tempo con atteggiamento rivoluzionario, ovvero cercando di mutarla radicalmente, non trovandola conforme (bensì opposta) alle esigenze della natura umana. Tale atteggiamento non ebbe già più riscontro in Aristotele, il quale non si trovò a vivere in un ambiente cittadino almeno idealmente democratico e comunitario quale fu quello di Platone, bensì in un ambiente di tipo ellenistico-imperiale. Non possiamo soffermarci molto, in questa introduzione, su questo argomento, per l’approfondimento del quale dobbiamo rinviare alla nostra trilogia citata, e ad altri nostri lavori2. Possiamo comunque affermare che, a causa della crescente difficoltà ad imporre mutamenti di rilievo della totalità sociale, lo Stagirita mantenne un atteggiamento riformista nei confronti della medesima: egli ritenne cioè opportuno intervenire solo su parti della stessa, correggendo principalmente i difetti prodotti dalla brama di potere e di denaro, ma sostanzialmente mantenendo invariati i rapporti socio-economici complessivi esistenti.
L’incedere di un modo di produzione sociale sempre più privatistico e mercificato, ed al contempo il crescente smarrimento del modello ideale comunitario classico, fece sì che la filosofia platonico-aristotelica rimase l’ultima ad occuparsi in modo rivoluzionario della totalità sociale. Le successive filosofie, ritagliate all’interno di un contesto di progressiva perdita di autonomia e rilevanza della polis (e della connessa dimensione politica), si strutturarono infatti principalmente come forme di cura individuale dell’anima, e non come forme progettuali sulla totalità sociale. Lo Stoicismo, ad esempio, pur per molti aspetti caratterizzato dalla tensione verso l’universale, si incentrò sul concetto del bastare a se stessi, ovvero su una morale di tipo personale. L’Epicureismo mirò anch’esso ad una morale di tipo personale, ricercando in sostanza la realizzazione, per il saggio, di una vita piacevole in un contesto microcomunitario (la ristretta cerchia degli amici). Lo Scetticismo, a sua volta, si caratterizzò per la critica ad ogni verità filosofica complessiva, e per la ricerca di una modalità di vita individuale coerente in grado di consentire di evitare il dolore.
Lo spostamento del centro della filosofia da Atene a Roma ha approfondito il processo di depoliticizzazione e di interiorizzazione dei contenuti della medesima. La filosofia, a Roma, si strutturò infatti soprattutto come una ripresa delle precedenti filosofie ellenistiche, spesso fra loro composte in modo eclettico.
Come meglio mostreremo tra breve, attraverso queste ed altre tendenze culturali si giunse fino a Plotino. Proprio in Plotino il pensiero ritenne opportuno rifugiarsi non più soltanto in una microcomunità protetta, o all’interno dell’individuo, bensì addirittura in un piano trascendente inconoscibile dall’uomo; è evidente infatti, nella sua opera, il desiderio di estraniarsi totalmente da un mondo percepito come sempre più invivibile, alla ricerca di una serenità ritrovabile solo in un intimo mistico contatto con la divinità. Quello che cercheremo qui di fare sarà, nella prima parte, ripercorrere l’evoluzione delle modalità sociali che hanno condotto a questa situazione, utilizzando soprattutto la chiave interpretativa della schiavitù, analizzata quali-quantitativamente come indicatore sintetico del crescente abbrutimento del modo di produzione antico. Nella seconda parte, invece, ci occuperemo esclusivamente del pensiero di Plotino.
Prima, però, di entrare nel vivo della trattazione affrontata nel libro, dato il titolo che lo stesso riporta, e dato che non possiamo pretendere che il lettore di questo libro conosca anche la nostra trilogia precedentemente menzionata, riteniamo opportuno soffermarci un poco sull’umanesimo greco, per meglio mostrare in che senso intendiamo questo termine; chiarito questo, potremo chiarire meglio per quale motivo anche Plotino può essere considerato, pur con alcuni distinguo, come l’ultimo episodio di questa storia.
1 Non si tratta propriamente, a dire il vero, di una conclusione. Se infatti L’umanesimo della antica filosofia greca rappresenta uno sguardo di insieme sulla Grecia tutta, quest’ultima presenta una ricchezza tale che ciascuna sua parte, affinché ne emergano compiutamente i contenuti umanistici, deve essere esaminata monograficamente. Per questo ci stiamo apprestando ad ulteriori pubblicazioni, che speriamo possano vedere la luce nei prossimi anni, rispettivamente con i titoli L’umanesimo di Omero, L’umanesimo politico dei “Presocratici”, L’Umanesimo dell’antico teatro greco e L’umanesimo della filosofia ellenistica.
2 Rinviamo, in merito, soprattutto ad un nostro saggio presente nel volume D. Fusaro-L. Grecchi, a cura di, È veramente noiosa la storia della filosofia antica?, Il Prato, Padova, 2008, che raccoglie testi di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, C. Preve e M. Vegetti.