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La figura di Rousseau in Italia non ha mai goduto la fama di altri suoi illustri colleghi, uno su tutti: Marx. La critica filosofica italiana, specie quella del secolo scorso, è riconducibile fondamentalmente a due schiere: quella pro e quella contro Marx. Ne risulta che il marxismo è sempre stato al centro dell'attenzione, catturando consensi e critiche allo stesso tempo. È assai curioso come il Ginevrino sia stato invece relegato al rango di pensatore minore. Eppure senza Rousseau, Marx non sarebbe stato lo stesso.
Quella fra Marx e Rousseau è la storia di una parentela difficile. Forse il motivo più valido di questa difficoltà rimane l'unilateralità del primo, a differenza della multilateralità del secondo. Il pensiero marxiano è sempre stato fortemente scientifico. E l'ambizione più grande raggiunta da Marx è stata di tramandarsi alla posterità come un pensatore scientifico. Mentre di Rousseau si può dire tutto tranne che sia stato un pensatore scientifico. Il suo pensiero ha sempre operato a 360° e perciò non può venire intrappolato in un pur grandioso spirito di sistema: di cui, anzi, si è sempre detto nemico, sostenendo al contrario la naturalità dei sentimenti umani e il controllo della sfera sentimentale su quella razionale. Motivi, questi, che lo allontanarono dalla casta dei philosophes. Questi ultimi emarginarono le idee del Ginevrino, fin troppo anticipatrici per la sua epoca e arrivarono persino a denigrare il controverso Jean-Jacques. D'altronde, in simili casi, vale l'adagio secondo cui: si sminuisce tutto ciò che non si comprende. E il vero problema dei suoi contemporanei è che non lo compresero. Era troppo moderno per loro, troppo avanguardistico. Non a caso sono in molti a riconoscergli il merito di aver precorso i tempi e anticipato i temi poi cari al Romanticismo, riconducibili tutti: alle ragioni del cuore, di cui la ragione stessa per parafrasare Pascal non è in grado di darci conto.
A onor del vero, va detto che la linearità non fu certamente una virtù di Rousseau. La prova più eclatante n'è il fatto che scrisse l'opera fondatrice della pedagogia, l'Emilio, e allo stesso tempo non si fece scrupoli ad abbandonare i suoi cinque figli in un apposito Istituto per trovatelli: come lui stesso riferisce, con disarmante franchezza, nelle sue Confessioni. Ammetterlo non giustifica l'uomo, ma è un'ulteriore chiave di lettura per comprendere il filosofo.
Al centro della sua filosofia vi era spazio soltanto per l'amor veritas. Egli detestava mentire persino nel caso in cui una ragionevole menzogna avesse potuto coprire una meschina verità. Proprio essere sempre veritiero costi quel che costi fu l'obiettivo prefissosi da Jean-Jacques nelle Confessioni. Opera, questa, che segna l'inizio della modernità letteraria: pervasa dall'autobiografismo narcisistico. La stragrande maggioranza dei romanzi odierni, infatti, s'ispira più o meno consapevolmente al canovaccio presentatoci nelle Confessioni rousseauiane, con un mix accattivante di aneddoti e paturnie esistenziali sui propri contrastanti stati d'animo.
Recita l'incipit delle Confessioni: «M'inoltro in un'impresa senza precedenti, l'esecuzione della quale non troverà imitatori. Intendo mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della sua natura; e quest'uomo sarò io».
Rousseau magari peccava di presunzione nel pensare che la sua vita potesse interessare tanti lettori, ma la storia del pensiero come tutti sappiamo alla fine gli diede ragione e grande interesse suscita ancora oggi questa sua stravagante autobiografia.
Marx invece voleva innalzare il suo sistema di pensiero a un livello superiore a quello hegeliano, di cui lui fu in definitiva il più acuto innovatore.
Forse ci tengo a precisare solo forse proprio nelle diverse finalità perseguite, si spiega il perché sono in molti a non riscontrare in loro una diretta parentela, tranne alcune rare e preziose eccezioni. Tuttavia rimane innegabile che, molto prima di Marx, Jean-Jacques fu il primo a criticare ferocemente i valori borghesi e le ingiustizie della proprietà privata, a cui è direttamente riconducibile secondo lui l'origine della disuguaglianza tra gli uomini. Quella rousseauiana fu una critica della ricchezza per certi versi antesignana a quella marxiana, poi più organicamente strutturata. Critica, quella rousseauiana, di una sregolata distribuzione della ricchezza, che a sua volta ricorda un po' le invettive di Platone contro la plutocrazia lanciate nel libro ottavo della Repubblica. La sola ma sostanziale differenza fra Marx e Rousseau che mi sento di condividere è che per quest'ultimo «tutto dipende da fattori politici e non da fattori economici», come afferma con acutezza Mario Einaudi.
Se la storia, dai suoi albori a oggi, ci ha insegnato che una società di uguali è difficilmente attuabile, ci ha però anche insegnato che una società coesa non solo sarebbe più facile da realizzare, ma ci è addirittura necessaria: per la sopravvivenza della nostra specie su questo Pianeta, messo a repentaglio da un'errata economia e altrettanto errata filosofia.
Oggi il capitalismo si trova sull'orlo della bancarotta, in tutti i sensi. Forse è arrivato il momento di pensare ad alternative credibili e praticabili nell'immediato. Una di queste a mio avviso ce la fornisce un pensatore anti-sistemico del calibro di Rousseau: nemico di ogni manicheismo culturale che ha caratterizzato la storia d'Occidente e con la globalizzazione ormai dilagante l'intera storia mondiale.
I tempi sono ormai maturi affinché non debbano più esserci due sole vie di pensiero. Per il nostro bene e quello delle future generazioni è arrivato il momento di fondare una terza via. C'è chi avanza coraggiosamente l'ipotesi che la sola speranza del genere umano risieda nella decrescita economica. Se tale ipotesi sia o meno percorribile solo il tempo saprà dircelo. A ogni modo, condivido l'idea che una rivoluzione culturale sia l'unica via per dare ancora un futuro all'uomo. Futuro, questo, che potrà ripartire soltanto da una rifondazione della politica, o più precisamente della filosofia politica, non più schiava dell'economia. Perciò penso che riscoprire un grande filosofo politico come Rousseau in tempi di deficit della politica possa essere un'insperata opportunità: se non altro per gettare le basi di un cambiamento che è già nell'aria e che i nemici del cambiamento dovranno loro malgrado assecondare.
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