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Scrittore, musicista, polemista, filosofo, teorico della politica, botanico... questo fu Jean-Jacques Rousseau. Di tutti gli aspetti che si possono menzionare dell’eclettica figura umana e intellettuale del Ginevrino, ce n’è uno in particolare sul quale l’Autore si sofferma: la sua filosofia dell’originario, che ruota attorno al concetto di rivoluzione.
Il termine rivoluzione, usato in un contesto che ha per soggetto Rousseau, dev’essere inteso come un ritorno alle origini, come un revolvere, cioè tornare indietro all’originario stato di natura; nel quale l’uomo era ancora il principe assoluto del creato, sottoposto soltanto al Creatore stesso, che lo considerava non solo un suo favorito, ma addirittura il suo figliolo prediletto.
Come scrive l’Autore in questo suo saggio: «Finché la legge non sarà davvero uguale per tutti, finché un solo uomo godrà di privilegi maggiori rispetto ai suoi simili, finché la disuguaglianza continuerà a scavare trincee fra uomo e uomo invece che edificare ponti e a dividere invece che unire, allora le rivoluzioni avranno ancora la loro piena raison d’être. Rispetto a Marx e a molti suoi seguaci, non dobbiamo però pensare che esse dovranno venire per forza di cose combattute coi fucili spianati».
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