La cultura dominante dell’odierno Occidente si manifesta come un’unità inscindibile e complementare di relativismo ed universalismo astratto.
Scetticismo e disincanto di fronte alla realtà e alla verità, da un lato; affermazione della libertà assoluta e del progresso come valori formali e procedurali e “colonialismo” culturale delle categorie liberali occidentali, dall’altro, si fondono nel comporre la natura del cosiddetto occidentalismo contemporaneo.
Fuori da questo paradigma angusto, l’uomo ha, per sua natura, bisogno di un universalismo sostanziale che partendo dall’esistenza di una Verità ontologica sulla propria condizione, metta in comunicazione il particolare e l’universale senza salti nel vuoto o astrazioni e respingendo completamente, allo stesso tempo, ogni tentazione relativistica.
Un simile universalismo, che, oltre ogni forma, scavi nella sostanza dei bisogni e dei comportamenti umani, affonda le proprie radici nell’affermazione dell’esistenza di una natura umana conoscibile oltre il dato meramente biologico. Da questo presupposto muove la ricerca di un criterio di Bene universalizzabile preminente sui valori procedurali e pseudo-universali di libertà assoluta e di progresso tecnico-scientifico che rivestono come una patina consolatoria il nichilismo delle relazioni sociali dell’Occidente capitalistico.
Se il Bene è conoscibile come verità generale sulla condizione e i bisogni dell’Uomo, da esso può sorgere la possibilità di un universalismo sostanziale che, fuori da ogni proceduralismo e nel totale rispetto del ruolo delle comunità intermedie, leghi i destini dell’umanità. Una via impervia e densa di rischi che deve però essere percorsa.
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