L’esperienza comunista si è definitivamente chiusa con il crollo del muro di Berlino? Alla sinistra non resta che genuflettersi al capitale e parlare con la lingua del neoliberismo meglio di quanto non faccia la destra? Il più grande e il più radicale dei progetti di emancipazione dei popoli della Terra è stato davvero sconfitto senza possibilità d’appello?
Ad uno sguardo onesto, nel “paradiso” capitalista sembra sopravvivere più di un problema. La storia, anziché concludersi come qualcuno avrebbe voluto , continua a celebrare il sacrificio di intere popolazioni sull’altare del profitto. Da ciò sorge la legittimità, senza alcun intento apologetico o nostalgico, di elaborare un nuovo concetto di emancipazione. Parlare oggi di comunismo non deve significare un piatto ritorno ad esperienze storiche passate: occorre prendere atto che il comunismo novecentesco è morto, che le sue soluzioni particolari sono fallite, persino in modo tragico; significa invece che in esso vi era una scintilla che vale la pena salvare, non per ripetere il già-stato, ma per riprogettare ciò che non si riuscì a costruire.
Questa opera propone un contributo neo-hegeliano alla causa dell’emancipazione: tentativo inedito e paradossale sia di rovesciamento materialistico del comunismo di Marx (il cui pensiero è analizzato nel dettaglio dagli scritti liceali fino a quelli etno-antropologici), sia di critica dei principali concetti marxisti. Una nuova idea di emancipazione che passa attraverso una re-interpretazione del pensiero del gigante di Stoccarda.
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