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Volle Aristotele distinguere e contrassegnare i diversi suoi trattati indicandoli per mezzo di titoli? Volle istituire un sistema di riferimenti stabile, univoco e distintivo fra le diverse sue opere scritte? O se no, in quale altro modo concepì la possibilità di mettere in relazione le diverse ricerche che andava esponendo? Quali parti dei suoi trattati esprimono questa relazione? Esiste una tipologia ricorrente negli esordi introduttivi? Esiste una motivazione comune nel sistema dei raccordi?
Condotta fin dall’inizio con metodi molto semplici (le edizioni di riferimento, e principalmente l’edizione Bekker con l’indice del Bonitz1), la ricerca della quale commenterò gli esiti nasceva da una sorta di curiosità di fronte alle liste antiche di titoli di opere di Aristotele, che così spesso e variamente discordano, sia fra loro, sia dal corpus e dai titoli che noi conosciamo2. Per questo è stato naturale chiedersi: esiste un sistema di titoli autenticamente aristotelico? Già i commentatori neoplatonici pensavano di sì3. Ma l’ipotesi non trova supporto nelle testimonianze antiche4.
Vedremo nel corso di questa indagine che nemmeno l’esame del corpus dall’interno conforta questa possibilità. Aristotele non sembra avere avvertito il bisogno di contrassegnare diverse opere in modo inequivoco e stabile. D’altra parte, fu prodigo di riferimenti fra l’una e l’altra delle sue ricerche. Quanto possibile, le volle non isolare, ma connettere, quasi fossero tutt’una. Così collegò opere e parti di opere in una rete di raccordi, distintamente articolata in trattati e fra parti di trattati, senza precedenti in ambito filosofico (anche se forse non priva di modelli in assoluto).
Ottenne anche così che i libri non andassero perduti o dispersi, nonostante non esistesse ancora al suo tempo un’organizzazione bibliotecaria che ponesse capo perlomeno a quel tipo di pinakes ovvero liste di opere, spesso accompagnati dall’indicazione degli incipit, che diverranno pratica corrente in età ellenistica. In questo senso, ciò che fece Andronico, a quanto si dice, organizzando i trattati in pragmateiai, è in buona parte merito di Aristotele, che aveva ben predisposto i trattati fornendoli di questi esordi. Senza questi esordi così articolati, non sarebbe stato facile inferire la posizione di ogni parte delle sue opere nel disegno complessivo ed enciclopedico che le accomuna.
A connessioni siffatte, tramite gli esordi, lavorò Aristotele, verosimilmente, anche in fase di revisione; forse anche i suoi collaboratori, o la sua scuola. In tal caso, ci si potrebbe domandare se la scuola abbia avuto un ruolo nel metter mano all’incipit dei libri e alla sua configurazione. Questa è un’ipotesi legittima, che però non trova supporto in ciò che sappiamo della trasmissione del corpus, almeno in età romana. Infatti ciò che identificava i libri, specie in assenza di una corrispondenza biunivoca fra opera e titolo, era precisamente l’incipit, corredato in alcuni casi con il numero delle righe di cui il testo constava.
Come si vede non è dunque privo di interesse passare in rassegna questo materiale ampio, facilmente disponibile e ben attestato, che è l’insieme degli esordi aristotelici.
Gli esordi, innanzitutto, sono sede primaria di introduzione ai trattati e agli ambiti disciplinari.
Si trova così che Aristotele, nell’articolare la sua enciclopedia filosofica in una serie di trattati dedicati a singoli argomenti e suddivisi per discipline, non fu affatto privo di una cura di tipo pedagogico per il pubblico dei suoi uditori presenti e lettori futuri. Si preoccupò dunque di coinvolgerli, di renderli partecipi delle motivazioni, sia riguardo alla scelta degli argomenti sia riguardo all’ordine e al metodo dell’indagine e dell’esposizione.
Il luogo testuale più naturalmente aperto ad un tale interloquire, e dunque più frequentemente dedicato a siffatte giustificazioni, è l’esordio dei singoli trattati. Ad esso dunque il lettore di ogni tempo fa utilmente ricorso, non solo quando si accinge a leggere un trattato dall’inizio alla fine, ma anche qualora voglia farsi almeno un’idea generale del contesto, per comprenderne meglio una qualsiasi sezione.
In secondo luogo, gli esordi sono strumento della connessione sia ideale sia materiale fra i libri, che consentono di evitare la loro dispersione indicandone gli ambiti di pertinenza come un sistema chiuso e compiuto. Tale d’altronde è la coesione del corpus, che i singoli trattati, e dunque i loro esordi, si comprendono meglio nel sistema che costituiscono e cioè nel confronto con la tipologia di esordio di tutti gli altri trattati.
Un loro esame, come vedremo, non manca infatti di dire qualcosa sui suoi criteri di redazione e di revisione, e sulla concezione d’insieme che Aristotele ebbe del suo lavoro, e che i peripatetici ancora in età romana lavorarono a perfezionare.
Così, per contrasto con un’assenza eminente quella della funzione del titolo emerge come rilevante il sistema degli esordi, e dei raccordi. Di sistema si può infatti parlare, come ora andiamo a vedere. Vedremo anche che questo sistema ha almeno due modalità di articolazione in qualche modo distinte. Una è propria dei trattati, che comunque comportano un’indicazione di argomento prefigurando così, seppur meno meccanicamente, la funzione del titolo, che identifica e distingue. La prima parte dello studio che qui presento, nel quale riprendo le mie precedenti ricerche al riguardo, li descrive uno dopo l’altro, prima di proporne una lettura sistematica quale si evince dalla considerazione sinottica, secondo la tipologia (non l’unica possibile, evidentemente) che qui introduco per la prima volta.
L’altra modalità è bene attestata almeno nei libri di una pragmateia diversa da tutte le altre, quella che chiamiamo Metafisica, e di questa si tratta nella seconda parte dello studio, del tutto originale. È soprattutto in questa, che i raccordi hanno non solo una funzione pedagogica, ma anche il ruolo di collegare i libri in un’architettura complessiva, che pone ciascuno in una posizione determinata rispetto a un insieme concettualmente gerarchizzato così da costituire e al tempo stesso articolare quella filosofia prima che Aristotele stesso paragona all’arte degli ‘architetti’ (o‹ “rcitéktoneV) nel primo libro della Metafisica (Alpha meizon 1, 981a30).
Si assolvono così due funzioni: una consiste nell’organizzazione di un sapere sistematico in materia di filosofia prima; l’altra, da non trascurare, veicolo e condizione di questa, consiste nell’organizzazione e collegamento di un corrispettivo corpo di trattazioni sistematiche e cioè coese anche fra loro, ciascuna dedicata a uno dei suoi aspetti, in correlazione costante con tutti gli altri, in modo da non lasciarne scoperto almeno virtualmente nessuno. Tale infatti sembra il senso di costruzione degli esordi nella Metafisica, i quali pure, tuttavia, rientrano nella tipologia e nella conseguente classificazione che sarà ora proposta a partire dagli esordi nei trattati.
1 L’elenco prodotto infra segue l’ordine dell’edizione di I. Bekker, Aristotelis Opera, Berlin 1831, voll. I-II; è stato importante per questa ricerca anche il relativo Index curato da H. Bonitz, Berlin 1870, s.v. Ἀριστοτέλης, 95b-105a. I trattati presi in esame sono quelli annoverati come autentici da I. Düring, voce ‘Aristoteles‘ in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Supplement Band XI, 1968 col. 159-336, in part. 160, 203-294. Lo studio che qui presento costituisce un commento e una revisione, in diversa prospettiva, di una selezione fra i dati presentati in S. Fazzo, “Esordi e trattati in Aristotele”, in Linguaggio, mente e mondo. Saggi di filosofia del linguaggio, filosofia della mente e metafisica, a c. di M. Carrara - G. De Anna - S. Magrin, Padova 2003, pp. 19-38, donde riprendo qui più oltre la breve introduzione (p. 19 ss.) e alcune sezioni fattuali. Una versione francese, “Exordes, raccords, ‘titres’ chez Aristote” è apparsa in F. Le Blay (a cura di), Transmettre les savoirs dans les mondes hellénistique et romain, Rennes: Presses Universitaires de Rennes, 2009, pp. 295-308. Ringrazio Luca Grecchi di voler accogliere nel suo volume, come congrua all’argomento, questa versione molto ampliata del testo pubblicato in francese, riveduta ed evoluta anche quanto all’interpretazione del problema. La seconda parte che ora segue, dedicata alla Metafisica, vi era del tutto assente.
2 Sulle liste antiche l’opera classica è P. Moraux, Les listes anciennes des ouvrages d’Aristote, Louvain 1951, che illustra come queste liste possano illuminare aspetti di fasi intermedie ed altrimenti oscure nella trasmissione del corpus; ma non discute la questione dell’autenticità dei titoli; solo in una postilla, aggiunta a p. 7, n. 17, Moraux cita la generale discussione di E. Nachmanson, “Der griechische Buchtitel. Einige Beobachtungen”, Göteborgs Högskolas Årsskrift, XLVII, 19, Göteborg 1941, che aveva espresso dubbi importanti al riguardo. O. Gigon, “Prolegomena zu den Testimonia” in Aristotelis Opera, vol. III, Berlin-New York 1987 non porta argomenti sul tema ma sembra presupporre l’esistenza di titoli aristotelici già nel la-scito diretto di Aristotele, dunque presumibilmente originali. Scrive infatti a p. 3: «Gerade bei Aristoteles ist es wahrscheinlich daß sich im Nachlaß verschiedene Fassungen einer und derselben Untersuchung fanden, die dann denselben Titel erhielten». Su questo ambito tematico è ora imprescindibile M. Rashed.
3 Cfr. le fonti raccolte da Ph. Hoffmann nel suo saggio sui titoli aristotelici nei commentari neoplatonici: «La problématique du titre des traités d’Aristote selon les commentateurs grecs. Quelques exemples», in: J.C. Fredouille, M.-O. Goulet-Cazé, Ph. Hoffmann, P. Petitmengin, Titres et articulations du texte dans les oeuvres antiques, Actes du Colloque international de Chantilly, 13-15 décembre 1994, Institut d’études augustiniennes, Paris 1997, pp. 75-103, in part. p. 78, n. 13.
4 Sarebbe interessante approfondire, con gli strumenti che il caso richiede, la questione dell’emergenza dei titoli fra Aristotele e le prime generazioni successive. Sembra che i titoli non siano stati strumenti veramente necessari fintanto che non esistettero pubbliche biblioteche. P. Buzi, Titoli e autori nella tradizione copta. Studio storico e tipologico, Pisa 2005, dedica utilmente la sezione introduttiva al problema dell’emergenza dei titoli nella tradizione greca (ringrazio per la segnalazione e per la discussione, a Nantes e per litteras, M.-H. Marganne). Ma a questo riguardo, per esempio, già Teofrasto si comporta in modo diverso da Aristotele: mostra una preoccupazione specifica per la prima parola chiave nei propri incipit, e inoltre comincia quasi sempre in asindeto cioè scandisce nettamente le proprie opere e spesso i libri diversi di esse come unità sepa-rate. Cfr. S. White, “Opuscula and Opera in the Catalogue of Theophrastus’ works”, in: On the Opuscula of Theophrastus, a c. di W.W. Fortenbaugh e G. Wöhrle, Stuttgart 2002, pp. 9-37.
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