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Il sogno sta alla veglia come l‘apparenza alla realtà, il falso al vero; eppure, benché illusorio, esso è in qualche modo reale. Platone si impegna ad indagare lo statuto ontologico, fisiologico e psicologico del sogno proponendo spiegazioni di grande interesse ed attualità: nel sogno anima e corpo, intelletto e sensibilità creano una fitta rete di rapporti che rivela il pericoloso, quanto inscindibile legame che unisce la ragione alle passioni. Il sogno è il luogo in cui i pensieri manifestano la loro carica emotiva, la loro necessità di «somatizzarsi», di essere, cioè, non solo pensieri pensati, ma anche sentiti, immaginati. Ma un pensiero contaminato dalla sensazione è inevitabilmente ingannevole perché tutto ciò che appartiene al mondo dei sensi reca in sé connaturato il marchio dell’illusione. La questione dell’inganno onirico, della falsità delle sensazioni di chi, in sogno o da sveglio, vive immerso in un mondo di apparenze, viene esaminata soprattutto nei suoi risvolti etici e politici, e dunque in relazione al pericolo in cui incorre lo stato quando a gestirne il potere è il tiranno, simbolo dell’uomo che, sedotto dai desideri dell’anima appetitiva e dai falsi piaceri che ne derivano, vive da sveglio come se sognasse. Eppure, talvolta nel sogno è possibile anche cogliere la verità, a patto che il sognatore si trovi in uno stato di «igienica» temperanza e, soprattutto, che il messaggio onirico venga decodificato da chi è «fuori» dal sogno, ossia dall’interprete, anzi dall’interprete saggio, che può, decifrando parole ed immagini, dare un senso e, soprattutto, un valore a ciò che, apparentemente, non ne ha. È il tentativo di Platone di creare linee di confine tra due mondi che apparentemente si somigliano al punto da poter essere pericolosamente confusi.
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