Premessa di Cesare Pianciola
Quasi due anni fa, riflettendo sull’aggressione russa all’Ucraina, Carlo Galli ha osservato:
«La guerra, come fosse dotata di un’esistenza autonoma, si è avvitata su se stessa, e [...] si è prodotta una escalation non solo militare, non solo di crudeltà, ma anche di mentalità: ragionare in termini di amico e nemico è diventato comune; disegnare scenari apocalittici non è più fantascienza ma espressione di minacce e paure reali, purtroppo non infondate; la pace ha cessato di essere percepita come qualcosa di normale; le memorie individuali e collettive saranno segnate a lungo dall’esplosione di violenza patita dal popolo ucraino»1.
La sanguinosa incursione terroristica di Hamas in Israele del 7 ottobre e la successiva distruzione della striscia di Gaza ad opera israeliana sembrano già indirizzare sulla via dell’oblio della comunicazione contemporanea di massa la guerra russo-ucraina.
Dopo il 7 ottobre è innegabile una svolta tragica: «Questa non è guerra, non è un campo di battaglia, è solo un massacro», ha detto il generale dell’esercito israeliano Itai Veruv, che ha accompagnato la stampa sul luogo della mattanza. «Potete vedere i bambini, le loro madri e padri, nelle loro camere da letto, e potete vedere come i terroristi li hanno uccisi: li hanno massacrati, con i coltelli e con le armi da fuoco. Vedete il sangue sui letti, nelle camerette dei bambini? Non è una guerra. È qualcosa che non ho mai visto in vita mia. Mi tornano in mente le cose che hanno vissuto le nostre nonne e i nostri nonni durante i pogrom in Europa». Ma, dall’altra parte, è straziante leggere: «Ho scritto il mio nome sulla mia mano e quello dei miei figli sulle loro, nel caso morissimo sotto un bombardamento e ci fosse bisogno di riconoscere i nostri corpi», come racconta Ahmad Abu Saba’a, 35 anni, al corrispondente dell’agenzia di stampa turca Anadolu a Gaza2.
La “guerra totale” di Netanyahu magari riuscirà a inferire un duro colpo a Hamas, ma con una spaventosa strage di innocenti a Gaza. Con quali prospettive? Stefano Levi Della Torre ha scritto (su «Una città» n. 296 / 2023): «La strategia di annientare militarmente Hamas passando sopra migliaia di cadaveri a me sembra illusoria, e in più disastrosa per lo stesso Israele».
Si ripete spesso e giustamente che non bisogna essere equidistanti ma equivicini alle vittime. Anche se tutto questo sangue, questo odio, questa angoscia da una parte e dall’altra non lasciano spazio a molte speranze, tuttavia è necessario ragionare e agire “come se” un cessate il fuoco e un percorso di pace un percorso che faccia prevalere il “noi e loro” sul “o noi o loro” fosse ancora possibile, benché improbabile.
Come se la politica dovesse prevalere sulla guerra e non la guerra sulla politica.
È ben nota la frase del generale prussiano Carl von Clausewitz sulla “guerra come continuazione della politica con altri mezzi”. Valerio Romitelli ha posto al centro dei suoi studi il rapporto tra questi due mondi che hanno sovrastato la vita dell’uomo da sempre: la politica e la guerra. Che rapporto sussiste tra esse e in che modo l’uomo ha plasmato se stesso considerandole? Lo studioso annota come «non resta che ammettere che il termine “continuazione” riassume, condensa, due tipi di rapporti tra guerra e politica. Uno, in cui la guerra non è che una messa in pratica, un’esecuzione in termini militari di una determinata politica; e un altro, in cui è la guerra stessa che pone le sue condizioni alla politica»3. La travolge, la fagocita.
La domanda di fondo rimane sempre la stessa e cioè se le guerre disseminate nel corso del nuovo millennio, siano in parte non già la continuazione bensì la fine della politica, intesa come l’espressione umana in grado di mediare tra visioni opposte e tra interessi discordanti. I segnali, a cominciare dalla sostanziale dismissione dell’ONU che nasce dagli anni Novanta e dai fallimenti nella gestione e interposizione nelle guerre jugoslave e nel conflitto ruandese, sembrerebbero andare in questo senso e ovviamente non sono stati segnali incoraggianti. Sia per la guerra in Medio Oriente, sia per quella in Ucraina, l’ONU appare debole e incapace di realizzare i principi della sua carta costitutiva. L’Europa non sembra per ora all’altezza di una politica estera autonoma e lungimirante4. Avremo guasti di lunga durata, comunque vadano le cose.
In queste circostanze abbiamo pensato di proporre tre “riletture” filosofiche di ampio respiro sulla guerra e la pace attraverso l’analisi di importanti autori e libri, con l’augurio, pur in un quadro non favorevole alla speranza, che sia la politica a rappresentare la “fine” della guerra e non il suo contrario né il suo fine.
Si aggiungono in appendice due testi di Norberto Bobbio sul tema, nel ventennale della sua scomparsa (9 gennaio 2004), per cui ringraziamo il Centro studi Piero Gobetti, Enrico Peyretti, ex direttore del periodico torinese «il foglio», e Cosimo Ceccuti, direttore di «Nuova Antologia».
Un ringraziamento infine ad Antonio Benci con il quale ho discusso questo progetto, e a Carmine Fiorillo e a «petite plaisance» che hanno prontamente accolto la proposta editoriale.
Cesare Pianciola
1 gennaio 2024
1 C. Galli, Lo Zar e il mito della Terza Roma pubblicato il 21 marzo 2022 su «la Repubblica».
2 https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/10/22/qui-a-gaza-tanti-bambini-uccisi-ho-scritto-il-nome-dei-miei-figli-sulle-loro-mani-per-riconoscerli-se-muoiono/7328973/.
3 V. Romitelli, Rovesciare Clausewitz?, in «Scienza & Politica per una storia delle dottrine», vol. 14, n. 27, 2002, p. 60.
4 Quella che auspica Andrea Graziosi intervistato il 28/6/23 a Zapping: https://www.raiplaysound.it/audio/2023/06/ZAPPING-10f6c722-f683-4fc1-9ef3-9c639684310a.html .
****
In un mondo martoriato da guerre sanguinose (russo-ucraina, israeliano-palestinese, ma non solo) tre filosofi ci parlano della necessità della pace a distanza di secoli: il Cinquecento di Erasmo da Rotterdam, il Settecento di Immanuel Kant, il Novecento di Norberto Bobbio. Si collocano in prospettive in parte differenti: prevalentemente etico-religiosa Erasmo; laico-giuridica Kant, per il quale anche “un popolo di diavoli”, purché razionali, sceglierebbe la convivenza pacifica; di pacifismo istituzionale, attraverso il diritto, Bobbio. Franco Toscani, Massimo Mori e Pietro Polito non solo ricostruiscono il pensiero di questi autori sul tema, ma ne valutano anche il significato permanente al di là delle contingenze storiche in cui scrissero di pace e guerra. In appendice si aggiungono due testi di Norberto Bobbio su Erasmo e su Kant nel ventennale della scomparsa (9 gennaio 2004). Con l’augurio, pur in un quadro non favorevole alla speranza, che la politica ponga fine alla guerra e non accada il contrario.
Con la collaborazione
del «Centro studi Piero Gobetti».
Premessa di Cesare Pianciola
Franco Toscani, Erasmo da Rotterdam ela critica della guerra (Erasmo, “europeo consapevole”. Lo sguardo filosofico e la critica della guerra La forte consapevolezza dell’ambivalenza dell’umano. L’umanesimo di Erasmo La disumanità della guerra e la sua giustificazione ideologica. La sacralizzazione della guerra e la sua strumentalizzazione religiosa La sovrabbondanza dei mali della guerra e il valore della pace. La guerra come negazione del messaggio evangelico Erasmo e la cultura della pace odierna).
Massimo Mori, Per la pace perpetua di Kant. Una rilettura (Un’alternativa ineludibile Le condizioni interne della pace Costituzionalizzazione dei rapporti internazionali Uno sguardo al futuro).
Pietro Polito, La pace per Norberto Bobbio (Il concetto di pace La pace dei conservatori e la pace dei radicali Il valore della pace Si può scegliere razionalmente la pace?).
Appendice
Due testi di Norberto Bobbio su Erasmo e su Kant
Omaggio ad Erasmo Storia e progresso in Kant.
|