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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 470

Manuel Berrón, Michele Di Febo, Arianna Fermani, Alberto Jori, Giovanni Battista Magnoli Bocchi, Linda M. Napolitano, Lucia Palpacelli, Viviana Suñol, Alessandro Volpone, Marcello Zanatta

Ricerche aristoteliche. Studi sulla paideia. Prefazione e cura di Giulia Angelini.

ISBN 978-88-7588-381-2, 2024, pp. 288, formato 140x210 mm., Euro 30 – Collana “il giogo” [185].

In copertina: Statua in bronzo di Aristotele, ingresso della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, Germania.

indice - presentazione - autore - sintesi

30,00

Introduzione di

Giulia Angelini

Una delle questioni più discusse del/nel cosiddetto “mondo antico” è sicuramente quella della παιδεία: quell’educazione che è sempre stata un terreno di battaglia per ogni cultura, molto tempo prima della codificazione di qualsiasi “pedagogia” come scienza a sé stante.

Per la critica, l’opera fondamentale a tal riguardo è, ancora, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen (1934)1 di W. Jaeger, di cui ricorrono proprio nel 2024 i 90 anni dalla pubblicazione del primo volume.

Prendendo le mosse da Omero (l’Iliade e l’Odissea sono anche poemi educativi), Jaeger cerca, qui, di ricostruire la complessità dell’educazione antica, mostrando tutto il sostrato antropologico, così come culturale, politico e religioso, che questo nodo porta inevitabilmente con sé: d’altra parte, se, con Simonide, la “città educa l’uomo”, allora non solo si può dire che senza una comunità non ci può essere alcuna παιδεία, ma soprattutto che la παιδεία è una manifestazione della stessa città, all’interno di una concezione dinamica del raggruppamento.

Posto che questo tema è stato approfondito in lungo e in largo per tutto il Novecento (e oltre) in una notevole mole di contributi, solo un esiguo2 numero di scritti si concentra sul contributo di Aristotele: lo stesso Jaeger lo mette da parte prediligendo l’analisi, oltre che del succitato Omero, di Socrate, Platone e Isocrate, come se questa tematica, proprio quella della παιδεία, non fosse così rilevante nello Stagirita, il quale non avrebbe nemmeno apportato un contributo determinante alla sua storia (“storia”, nel senso di Wirkungsgeschichte).

Senza pretendere di colmare questo vuoto (con tutti i non-detti che porta con sé), il presente volume, Ricerche aristoteliche. Studi sulla paideia, vuole (ri)aprire un dibattito, mostrando innanzitutto la rilevanza della παιδεία per la filosofia di Aristotele nei suoi innumerevoli aspetti: oltre al rapporto obbligato con la σχολή, qual è la sua connessione con il governo?, con la felicità?, con il piacere? Poi, si può educare alla scienza?, qual è lo statuto epistemologico di una qualsiasi educazione?, chi è l’uomo colto?, eccetera eccetera.

Ma, soprattutto (soprattutto in questi tempi che vivono, almeno sulla carta, una separazione tanto pregiudiziale quanto sclerotica tra etica e politica), la παιδεία è politica?

Queste domande, sicuramente diverse, non sono assolutamente dispersive perché, di volta in volta, insistono su un aspetto particolare della speculazione dello Stagirita, complicando il nodo originario – quello, per l’appunto, della παιδεία: si tratta, per noi, di porre esplicitamente questo tema battendo delle strade che erano state solo abbozzate, strade che si intrecciano a numerosissimi altri percorsi.

Ben inteso, non è questo il luogo per prendere posizione con o contro Jaeger (in questi novant’anni, già altri/e l’hanno fatto in maniera molto più consistente di quanto qui si potrebbe), quanto di non relegare questa questione a una parentesi, accessoria, del pensiero dello Stagirita, parentesi che, almeno nel contesto italiano, è stata affrontata soprattutto da pedagogisti/e – come se appunto, la tematica educativa riguardasse esclusivamente loro, all’interno di una chiusura, preconcetta, della disciplina.

In altri termini, si tratta per la (storia della) filosofia, non solo aristotelica, di riappropriarsi di questo terreno, di cui non può fare a meno: l’educazione è dirimente.

Perché è così importante il tema della παιδεία in Aristotele, così importante da dedicargli una collettanea specifica?, ci si può giustamente domandare soprattutto in questo periodo che vede un’ipertrofia degli stessi scripta, in particolar modo specialistici: difatti ogni argomento che non è stato ancora sviscerato a fondo sembra essere una scusa per declamare al pubblico una novità, per lo meno editoriale.

Posto che nei vari cataloghi (Diogene Laerzio, Esichio e Tolomeo) risulta un Sull'educazione attribuito allo Stagirita, si potrebbe rispondere a questa domanda sicuramente a partire dal dato biografico: allievo di Platone, prima di fondare, non senza difficoltà, il Liceo (“scuola” in un senso molto lontano da quello moderno), lo Stagirita è stato maestro di Alessandro, a cui sicuramente ha riservato un’educazione molto peculiare.

Tuttavia, al di là del dato biografico, l’educazione è fondamentale per l’intero progetto di Aristotele: soprattutto, è fondamentale per la sua filosofia politica.

D’altra parte, questo non è un caso: al di là del tipo preciso di comunità (anche i regimi “peggiori” ne prevedono una: fuori da qualsiasi dicotomia tra descrittivo e normativo, l’educazione è ciò che di più… “ideologico” vi sia mai stato), perché si abbia una κοινωνία solida, forte e matura, che riesca a preservarsi nel tempo, bisogna puntare proprio sulla παιδεία, che, oltre a questo legame intrinseco con qualsiasi πολιτεία, è ciò che permette all’essere umano di realizzarsi – nel senso pieno dell’εὐδαιμονία.

Tenendo conto che questa è una tesi portata avanti, esplicitamente, in vari saggi qui presentati, si vuole ora brevemente ripercorrerla: in questo caso, il punto di partenza è dato dalla mia particolare formazione, ma, mai come ora, ha senso esibirla.

Ovviamente, tutto questo non esaurisce minimamente la ricchezza della παιδεία aristotelica, anche al di là della filosofia politica: se si vuole, è solo un pre-testo per cominciare, dato che un punto d’avvio serve sempre.

Posto che i libri tradizionalmente deputati a questa indagine sono il VII e l’VIII della Politica (sicuramente, per l’ampia trattazione che contengono), vi è un passo di Pol. II 5 molte volte sottovalutato su cui mi voglio concentrare.

Il luogo è noto, dato che siamo nella prima parte del libro, dove Aristotele sferra la sua critica a Platone: in palio c’è la salvezza della stessa πόλις, salvezza che il progetto platonico (sia quello della Repubblica sia quello delle Leggi) minerebbe a partire da quell’unità esasperata che propugnerebbe annullando il singolo in un tutto indistinto3.

Qui il riferimento alla παιδεία non è veloce, ma velocissimo, così tanto che può giustamente passare in sordina, ma risulta dirimente per capire il portato della stessa: d’altra parte, se il diavolo si nasconde nei dettagli, lo spirito aristotelico si trova sempre esibito al meglio nei luoghi meno frequentati – come una battuta che, durante le sue lezioni, lo stesso Stagirita proferiva in velocità prima che “suonasse la campanella”, ma che non sfuggiva all’alunno più attento.

Difatti, qui non solo si coglie l’importanza della παιδεία, ma anche tutta la posta in palio che è soggetta a ogni sua singola tematizzazione.

Leggiamo il passo:

«[…] bisogna far sì che la città, pur essendo una molteplicità […], diventi un’unità e una comunità attraverso l’educazione (διὰ τὴν παιδείαν κοινὴν καὶ μίαν ποιεῖν)»4.

Come anticipato, Aristotele è all’apice della sua polemica contro Platone: il “rimprovero” è verso il tentativo del maestro di omogeneizzare, in maniera spasmodica, la κοινωνία, cosa che non porterebbe ad altro che alla sua distruzione interna, cioè alla στάσις, quel fantasma della comunità mai esorcizzabile una volta per tutte.

Con a monte la teorizzazione dell’uomo come ζῷον πολιτικόν (sfondo su cui bisogna s e m p r e insistere5), per Aristotele ogni κοινωνία (come lo è la stessa πόλις) è, per sua natura, una molte­plicità: mereologicamente, si tratta di riconoscere le differenze che sono essenziali sia per far raggiungere alla città l’autarchia, ma anche per riuscire a governarla al meglio – l’uomo aristotelico non è, di fatto, un uomo indistinto (alla stregua del coltello di Delfi), ma un uomo ben determinato che assume la sua determinatezza grazie agli stessi rapporti in cui è inserito.

In questo senso, come riuscire ad armonizzare questa molteplicità, cioè, come far diventare la città un uno, senza però annullare quelle parti, specifiche, da cui, costitutivamente, è composta?

Per quanto il riassunto appena fatto sia brutale, questa domanda viene da sé nel momento in cui la differenziazione (che è anche scarto) viene posta come la condizione imprescindibile per l’emersione di qualsiasi uomo: la scienza politica aristotelica parte sempre da “quello che c’è”, non da quello che “dovrebbe esserci”, con la conseguenza che la relazione, che presuppone sempre una differenza, è il dato da assumere – in altre parole, quell’io che è un noi e quel noi che è io.

Quindi, come far sì che le varie parti non entrino in conflitto, distruggendo la κοινωνία (come lo è la stessa πόλις), ma riescano a cooperare tra di loro, come all’interno di un’orchestra formata da vari strumenti?

Ecco che allora interviene la παιδεία, che – mi permetto di dire – per lo Stagirita è sempre politica: non si tratta di intendere questa parola in senso stretto (ancorandola ai soli “politici” di professione), ma di capire che è “politica” perché appartiene a quel terreno, relazionale, che pone, determinando, ogni singolo.

Non c’è solo la necessità di puntare sulla παιδεία per avere l’ἀρίστη πολιτεία, ma di capire come, per Aristotele, la necessità della παιδεία si collochi in un orizzonte di senso più ampio, dato che solo essa può garantire la tenuta di una comunità: dall’antropologia aristotelica, che presuppone un determinato concetto di natura umana (natura, che non viene mai intesa in senso biologistico6: “la natura è” sempre “il fine”7), si comprende che ogni singolo si può realizzare solo in una comunità, comunità che, a sua volta, può attualizzarsi appieno solo se non tradisce quei presupposti che permettono la sua emersione.

Nella stessa possibilità che contiene della εὐδαιμονία, la παιδεία si dà nell’intersezione tra tutti questi punti, essendone, se vogliamo, il compimento.

Per questo la παιδεία è politica, nel senso largo del termine: è così importante, in questa sua politicità, da essere ciò che Aristotele rinfaccia al maestro, dato che, seppure quest’ultimo ne aveva lungamente parlato, ad avviso dello Stagirita non ne aveva mai colto l’essenza, che va ben oltre la stessa.

Difatti, come dovrebbe essere ormai chiaro, trattare di “educazione” vuol dire tutto e nulla, se si tace l’orizzonte più ampio in cui è inserita: se si tace il vero senso della κοινωνία.

Da qui la stessa grandezza di Aristotele, che è direttamente proporzionale alla necessità di tornare a lui: per quanto l’aspetto su cui mi sono concentrata sia estremamente particolare, esso mette in luce tutta la posta in palio di questo nodo, dato che è proprio la natura umana, che è una natura comunitaria, a determinare, oltre che la necessità dell’educazione, il suo stesso fine.

D’altra parte, se l’ἦθος, nel suo stesso legame con l’ἔθος, è una sorta di “seconda natura”8 dell’uomo, la stessa questione della παιδεία deve essere letta in questi termini: come una “seconda pelle”, di cui l’uomo, per la sua stessa costituzione, non può mai fare a meno.

A partire da questo sfondo, ecco che allora possono essere sottolineati tutti gli altri aspetti più particolari, che servono a rendere l’educazione efficace, così come a portare alla scienza: il tema è estremamente complesso, per il contenuto, il processo e la modalità di una qualsiasi educazione, ma, con Aristotele, non ci si sottrae a nessun rischio.

Si tratta di indagare la παιδεία in tutte le sue potenzialità.

Solo due ultime parole prima di concludere, più personali, ma, ciononostante, necessarie.

Ritornare su questo nodo, con Aristotele, non vuole essere semplicemente un lavoro… storicistico: per quanto il taglio sia inevitabilmente specialistico, si tratta di ritornare a pensare, pie­namente, l’educazione, anche e soprattutto da un punto di vista teleologico.

D’altra parte, se, come si è detto, “la natura è il fine”, allora la natura dell’educazione si lega sempre al fine precipuo per cui si dà, che è quello comunitario.

In questo senso, al giorno d’oggi viviamo sicuramente una crisi dell’educazione, non solo in senso classico…, crisi che è legata a una crisi più generale “di senso” del nostro mondo: se, come dice un celebre proverbio africano che sembra ricalcare il detto di Simonide, “per educare un bambino ci vuole un intero villaggio”, ora il “villaggio” ha perso la sua bussola, con inevitabili ripercussioni sulla stessa formazione del “bambino”.

Per questo, ritornare su questo nodo, con Aristotele, non è assolutamente un’operazione fine a se stessa: è un monito, una pulce nell’orecchio, un avvertimento per tutto ciò che noi stiamo attraversando.

Come ha detto un importante pedagogista, sicuramente non aristotelico, ma che, senz’ombra di dubbio, condivide con Aristotele quest’approccio politico al tema:

«Ricominciare ogni volta daccapo, costruire, ricostruire e non guastare, rifiutarsi di burocratizzare la mente, comprendere e vivere la vita come processo - vivere per diventare...»9.

Sono tanti i problemi che ogni pratica educativa, che presuppone sempre una teoria, oggi deve affrontare (sicuramente, questi problemi sono in buona parte diversi da quelli di Aristotele, se solo consideriamo la sua tematizzazione della schiavitù per natura10, inconcepibile per noi), ma pensare che, nelle fondamenta, siano totalmente inediti sarebbe un errore troppo grande: con una voluta provocazione, tutto è già stato pensato, ma tutto deve, altresì, essere pensato ogni singola volta.

Senza una visione di fondo forte, che la costringe, obbligatoriamente, ad andare oltre a se stessa, ogni pedagogia non solo si muove alla cieca, ma rischia esclusivamente di suffragare l’ordine esistente: certo, se lo si trova giusto, è legittimo che lo faccia, ma, se si vuole riaprire la strada alla possibilità della piena realizzazione dell’essere umano (la cara vecchia εὐδαιμονία), si deve andare più in profondità.

Che si ricominci, ancora una volta, da Aristotele11, quindi: nel momento in cui la sua speculazione non regge, lo si deve certamente abbandonare, ma che questo attraversamento venga fatto.

Detto questo, se quello appena esposto è, come dire…, il retroterra che ha portato alla nascita di questo volume, ci tengo subito a ribadire che, oltre al fatto che questa introduzione è totalmente personale, lo sono altrettanto i contributi qui presentati, per cui eventuali discrasie nella tematizzazione non costituiscono assolutamente una pecca, ma, anzi, mostrano tutte le tensioni che ancora attraversano questo tema: si sono lasciate da parte le strade che finora sono state più battute, per cercare sentieri alternativi, nella speranza che il tutto porti a una (ri)apertura del dibattito.

Come era già stato fatto per Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione, anche in questo caso abbiamo coinvolto importanti aristotelici/aristoteliche particolarmente attivi/e nel panorama italiano et alibi.

Più in particolare, il volume è così organizzato: ad aprirlo, ci sono due importanti contributi, di A. Jori e A. Volpone, che inquadrano la questione con una forte problematizzazione verso la contemporaneità.

Poi, vi è il saggio di A. Fermani, che si concentra sul significato di educazione, anche e soprattutto in rapporto alla σχολή.

Riprendendo il sottotitolo, il testo di M. Di Febo è una riflessione sulla παιδεία a partire da una considerazione più ampia di “antropologia aristotelica”, dove, obbligatoriamente, si ritorna sulla questione dell’uomo come ζῷον πολιτικόν.

Segue il saggio di G.B. Magnoli Bocchi, che, in un dialogo aperto con il sopracitato Jaeger, problematizza, se vogliamo, l’uditorio aristotelico, a partire da una potente consapevolezza storico-concettuale.

Troviamo poi altri saggi che si soffermano su aspetti particolari della riflessione aristotelica: se V. Suñol si concentra sull’educazione musicale e se L. Palpacelli si concentra sul rapporto dell’edu­cazione con il piacere, L.M. Napolitano affronta il rapporto di Aristotele con Platone sulla tematica, più ampia, di una possibile educazione sentimentale.

A chiudere il tutto due ultimi saggi: quello di M. Berrón, in cui ci si interroga sulle caratteristiche dell’uomo colto, e quello di M. Zanatta, in cui si pone il tema più generale dell’educazione alla scienza.

Di nuovo, ogni presa di posizione è assolutamente personale, per cui lo stesso contrasto che si può avere non può fare altro che arricchire il dibattito a riguardo: tantissimi altri problemi devono essere affrontanti, ma quelli qui presentati sono ineludibili.

Come di consueto, un’ultimissima nota, mai scontata: oltre a ringraziare Luca Grecchi per aver accolto con favore la prima bozza di questo progetto, un doveroso grazie a Carmine Fiorillo, che non solo ha deciso di pubblicare il volume, ma che ha seguito ogni fase della sua costruzione.

Senza la fiducia di entrambi, così come senza la loro caparbietà, anche questo lavoro non avrebbe mai visto la luce: di nuovo, grazie.

1 Per l’edizione italiana, cfr. W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, introduzione di G. Reale, Bompiani, Milano 2003.

2 Da intendersi ovviamente in proporzione: tra l’altro, al di là di Jaeger, anche le monumentali opere di H.-I. Marrou (Histoire de l’éducation dans l’Antiquité, 1948), di F.A.G. Beck (Greek Education, 1964) e di J. Bowen (A History of Western Education, 1972) dedicano poche pagine, se non in alcuni casi solo una breve sintesi, alla proposta aristotelica.

3 I condizionali sono obbligatori dato che si sta sempre parlando della lettura che Aristotele fa di Platone. Per un approfondimento di questa questione, rimandiamo a G. Angelini, Aristotele, Pol. II 1-5: note sulla critica alla Repubblica di Platone per un lavoro a venire, in A. Pacilio, M. A. Pignatone, Echi del mondo antico, IISF Press, Napoli 2024 (in stampa).

4 Per il passo completo, cfr. Pol. II 5, 1263 b 35-41, trad. it. Aristotele, Politica, in Id., Politica e Costituzione di Atene, a cura di M. Zanatta, traduzione di C.A. Viano, Rizzoli, Milano 2006, pp. 53-342.

5 Per un’introduzione, cfr. G. Angelini, L’uomo come ζῷον πολιτικόν. Un’ipotesi interpretativa di un lemma fondamentale del pensiero aristotelico, in «Scienza&Politica. Per una storia delle dottrine», 30, 58 (2018), pp. 131-154.

6 Si rimanda alla polemica contro i sofisti (probabilmente, Alcidamante e Antifonte) contenuta in Pol. I 5-6.

7 Per il passo completo, cfr. Pol. I 2, 1252 b 31-1253 a 1.

8 Cfr. Eth. Nic. VII 11, 1152 a 29-33.

9 Celebre frase di P. Freire, che, non a caso, un’altra grandissima pensatrice, b. hooks, mette come esergo alla sua opera Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà.

10 In particolare, cfr. Pol. I 3.

11 Cfr. E. Berti, Aristotele e la metafisica classica, Il Ramo Editore, Rapallo 2012, p. 27.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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